La "Lettera ai giudici", datata
18 ottobre 1965, fu scritta da don Lorenzo
Milani. La Lettera fu pubblicata con la Lettera ai cappellani militari nel
testo:
"L'obbedienza non è più una virtù" edizioni
L.E.F. - Firenze
"Lettera ai giudici
Barbiana 18 ottobre 1965
Signori Giudici,
vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non
sarà infatti
facile ch'io possa venire a Roma perché sono da tempo malato.
Allego un certificato medico e vi prego di procedere in mia assenza.
La malattia è l'unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo
perche dai tempi di Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco
rispetto per lo Stato. E questa è proprio l'accusa che mi si fa in questo
processo.
Ma essa non è fondata per moltissimi miei confratelli e in nessun modo
per me. Vi spiegherò anzi quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi
il senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini.
Una precisazione a proposito del difensore.
Le cose che ho voluto dire con la lettera incriminata toccano da vicino la
mia persona di maestro e di sacerdote. In queste due vesti so parlare da me.
Avevo
perciò chiesto al mio difensore d'ufficio di non prendere la parola. Ma
egli mi ha spiegato che non me lo può promettere né come avvocato
né come uomo.
Ho capito le sue ragioni e non ho insistito.
Un'altra precisazione a proposito della rivista che è coimputata
per avermi gentilmente ospitato. Io avevo diffuso per conto mio la lettera
incriminata fin dal 23 Febbraio.
Solo successivamente (6 Marzo) l'ha ripubblicata Rinascita e poi altri giornali.
È dunque per motivi procedurali cioè del tutto casuali ch'io trovo
incriminata con me una rivista comunista.
Non ci troverei nulla da ridire se si trattasse d'altri argomenti. Ma essa
non meritava l'onore d'essere fatta bandiera di idee che non le si addicono
come la libertà di coscienza e la non violenza.
Il fatto non giova alla chiarezza cioè all'educazione dei giovani che
guardano a questo processo.
Verrò ora ai motivi per cui ho sentito il dovere di
scrivere la lettera incriminata. Ma vi occorrerà prima sapere come
mai oltre che parroco io sia anche maestro.
La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo
una scuola elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano
dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati.
Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione
civile e non solo religiosa.
Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero
consiste in una scuola.
Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici
ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano
lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio
a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario
glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico.
La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile
capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente
con me.
Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale,
la posta. Scriviamo insieme.
COME MAESTRO
Il motivo occasionale
Eravamo come sempre insieme quando un amico ci portò il ritaglio
di un giornale. Si presentava come un «Comunicato dei cappellani militari
in congedo della regione toscana». Più tardi abbiamo saputo
che già questa dizione è scorretta. Solo 20 di essi erano presenti
alla riunione su un totale di 120. Non ho potuto appurare quanti fossero
stati avvertiti. Personalmente ne conosco uno solo: don Vittorio Vacchiano
pievano di Vicchio. Mi ha dichiarato che non è stato invitato e che è sdegnato
della sostanza e della forma del comunicato.
Il testo è infatti gratuitamente provocatorio. Basti pensare alla parola «espressione
di viltà».
Il prof. Giorgio Peyrot dell'Università di Roma sta curando la raccolta
di tutte le sentenze contro obiettori italiani.
Mi dice che dalla liberazione in qua ne son state pronunciate più di
200. Di 186 ha notizia sicura, di 100 il testo. Mi assicura che in nessuna
ha trovato la parola viltà o altra equivalente. In alcune anzi ha trovato
espressioni di rispetto per la figura morale dell'imputato. Per esempio: «Da
tutto il comportamento dell'imputato si deve ritenere che egli sia incorso
nei rigori della legge per amor di fede» (2 sentenze del T.M.T. di Torino
19 Dicembre 1963 imputato Scherillo, 3 Giugno 1964 imputato Fiorenza). In tre
sentenze del T.M.T. di Verona ha trovato il riconoscimento del motivo di particolare
valore morale e sociale (19 Ottobre 1953 imputato Valente, 11 Gennaio 1957
imputato Perotto, 7 Maggio 1957 imputato Perotto). Allego il testo completo
dei risultati della ricerca che il prof. Peyrot ha avuto la bontà di
fare per me.
Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e
di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che
ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in
carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei
ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai
impegnato a dar loro una lezione di vita.
Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di
parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino
al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande «I care». È il
motto intraducibile dei giovani americani migliori. «Me ne importa, mi
sta a cuore». È il contrario esatto del motto fascista «Me
ne frego».
Quando quel comunicato era arrivato a noi era già vecchio di una
settimana. Si seppe che né le autorità civili, né quelle
religiose avevano reagito.
Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce
ricreazione né vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e
studiare.
Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l'unica
ricreazione che concedo ai miei ragazzi.
Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media,
non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana
in cerca d'una «guerra giusta». D'una guerra cioè che
fosse in regola con l'articolo 11 della Costituzione. Non è colpa
nostra se non l'abbiamo trovata.
Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri:
Ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate
solo con la svastica o col fascio.
Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con «interviste» piene
di falsità. Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle «interviste» senza
curarsi di controllarne la serietà.
Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero 14-4-1965).
La nostra lettera è stata incriminata.
Ci è stato però di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi
quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale.
Così diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar,
le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode,
che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di religione.
Un mio figliolo ha per professore di religione all'Istituto Tecnico il capo
di quei militari cappellani che han scritto il comunicato. Mi dice di lui che
in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere appassionato di caccia
e di judo. Che ha l'automobile.
Non toccava a lui chiamare «vili e estranei al comandamento cristiano
dell'amore» quei 31 giovani.
I miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui.
E ciò nonostante non voglio che vengano su anarchici.
Il motivo profondo
A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola.
E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro
sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque
accordarci su ciò che è scuola buona.
La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati
vale solo cio che è legge stabilita.
La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi.
È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato
formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra
funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso
politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).
La tragedia del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare
con leggi che ancora non son tutte giuste.
Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare
condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare
quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge
che allora vigeva.
Ecco perchè, in un certo senso, la scuola è fuori del vostro
ordinamento giuridico.
Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora
diritti sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è percio
da un lato nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo
di lui, dall'altro nostro superiore perché decreterà domani leggi
migliori delle nostre.
E allora il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i «segni
dei tempi», indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi
vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso.
Anche il maestro è dunque in qualche modo fuori del vostro ordinamento
e pure al suo servizio. Se lo condannate attenterete al progresso legislativo.
In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei
ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla.
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini
da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il
sopruso del forte) essi dovranno battersi perche siano cambiate.
La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione
gli affianca anche la leva dello sciopero.
Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola
e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l'ora
non c'è scuola piu grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza.
Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e
accettare la pena che essa prevede. È scuola per esempio la nostra lettera
sul banco dell'imputato e è scuola la testimonianza di quei 31 giovani
che sono a Gaeta.
Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che
ama la legge piu degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con
l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto.
Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme
ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del
Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota
di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con
l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo
migliore.
L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei
confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa. Severamente ortodosso
e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e
al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina. Nessuno
d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime!
Del resto ho già tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini
e ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto
su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore.
Ma è poi reato?
Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata costituisse
reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente.
Vi ho fatto notare che togliendomi questa libertà attentereste alla
scuola cioè al progresso legislativo.
Ma è poi reato?
L'Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta
Costituzionale «al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle
raggiunte conquiste morali e sociali».
(ordine del giorno approvato all'unanimità nella seduta dell'11 Dicembre
1947).
Una di queste conquiste morali e sociali è l'articolo 11: «L'Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta degli altri popoli».
Voi giuristi dite che le leggi si riferiscono solo al futuro, ma noi gente
della strada diciamo che la parola ripudia è molto piu ricca di significato,
abbraccia il passato e il futuro.
È un invito a buttar tutto all'aria: all'aria buona. La storia come la
insegnavano a noi e il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano
ancora.
Mi scuserete se su questo punto mi devo dilungare, ma il Pubblico Ministero
ha interpretato come apologia della disobbedienza una lettera che è una
scorsa su cento anni di storia alla luce del verbo ripudia.
È dalla premessa di come si giudicano quelle guerre che segue se si dovrà o
no obbedire nelle guerre future.
Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci avevano così bassamente
ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci ingannavano perché erano
a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci, ma avevano paura. I più erano
forse solo dei superficiali.
A sentir loro tutte le guerre erano «per la Patria».
Esaminiamo ora quattro tipi di guerra che «per la Patria» non erano.
I nostri maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana
e cioè che gli eserciti marciano agli ordini della classe dominante.
In Italia fino al 1880 aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione.
Fino al 1909 il 7%. Nel 1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la metà lo
seppe o lo volle usare.
Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno,
ma arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose.
Oggi di diritto il suffragio è universale, ma la Costituzione (articolo
3) ci avvertiva nel '47 con sconcertante sincerità che i lavoratori
erano di fatto esclusi dalle leve del potere. Siccome non è stata chiesta
la revisione di quell'articolo è lecito pensare (e io lo penso) che
esso descriva una situazione non ancora superata.
Allora è ufficialmente riconosciuto che i contadini e gli operai, cioè la
gran massa del popolo italiano, non è mai stata al potere.
Allora l'esercito ha marciato solo agli ordini di una classe ristretta.
Del resto ne porta ancora il marchio: il servizio di leva è compensato
con 93.000 al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli
dei poveri, essi non mangiano lo stesso rancio alla stessa mensa, i figli dei
ricchi sono serviti da un attendente figlio dei poveri.
Allora l'esercito non ha mai o quasi mai rappresentato la Patria nella sua
totalità e nella sua eguaglianza.
Del resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la Patria?
Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo quello
di Napoleone in Russia.
Forse l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l'esercito inglese a
Suez.
Forse l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l'esercito russo in Polonia.
Forse l'esercito italiano al Piave. Ma non certo l'esercito italiano il 24
Maggio.
Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica
a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di
precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861.
Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto
e fatto soffrire in guerra per difendere gli interessi di una classe ristretta
(di cui non facevano nemmeno parte!) non gli interessi della Patria.
Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio,
cioè un idolo se la si adora. Io penso che non si può dar la
vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si può dar
la vita per l'idolo buono (la Patria), certo non si potrà concedere
che si possa dar la vita per l'idolo cattivo (le speculazioni degli industriali).
Dar la vita per nulla è peggio ancora.
I nostri maestri non ci dissero che nel '66 l'Austria ci aveva offerto il Veneto
gratis. Cioè che quei morti erano morti senza scopo. Che è mostruoso
andare a morire e uccidere senza scopo.
Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com'è complessa la
verità. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era composita dell'entusiasmo
eroico di alcuni, dello sdegno eroico di altri, della delinquenza di altri
ancora.
Lo dico perché alcuni mi accusan di aver mancato di rispetto ai caduti.
Non è vero. Ho rispetto per quelle infelici vittime. Proprio per questo
mi parrebbe di offenderle se lodassi chi le ha mandate a morire e poi si è messo
in salvo.
Per esempio quel re che scappò a Brindisi con Badoglio e molti generali
e nella fretta si dimenticò perfino di lasciar gli ordini.
Del resto il rispetto per i morti non può farmi dimenticare i miei figlioli
vivi. Io non voglio che essi facciano quella tragica fine. Se un giorno sapranno
offrire la loro vita in sacrificio ne sarò orgoglioso, ma che sia per
la causa di Dio e dei poveri, non per il signor Savoia o il signor Krupp.
Bisognerà ricordare anche le guerre per allargare i confini oltre il
territorio nazionale.
Ci sono ancora dei fascisti poveretti che mi scrivono lettere patetiche per
dirmi che prima di pronunciare il nome santo di Battisti devo sciacquarmi la
bocca.
È perché i nostri maestri ce l'avevano presentato come un eroe
fascista. Si erano dimenticati di dirci che era un socialista. Che se fosse stato
vivo il 4 novembre quando gli italiani entrarono nel Sud Tirolo avrebbe obiettato.
Non avrebbe mosso un passo di là da Salorno per lo stessissimo motivo
per cui quattro anni prima aveva obiettato alla presenza degli austriaci di qua
da Salorno e s'era buttato disertore, come dico appunto nella mia lettera.
«Riterremmo stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano» (Scritti
politici di Cesare Battisti, vol. II, pag. 96-97). «Certi italiani confondono
troppo facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vogliono i confini
d'Italia estesi fino al Brennero» (ivi).
Sotto il fascismo la mistificazione fu scientificamente organizzata. E non
solo sui libri, ma perfino sul paesaggio. L'Alto Adige, dove nessun soldato
italiano era mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra finti (Colle Isarco, Passo
Resia, S. Candido) con caduti veri disseppelliti a Caporetto.
Parlo di confini per chi crede ancora, come credeva Battisti, che i confini
debbano tagliare preciso tra nazione e nazione. Non certo per dar soddisfazione
a quei nazisti da museo che sparano a carabinieri di 20 anni.
In quanto a me, io ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti superati.
Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i nostri paletti
di confine sono stati sempre in viaggio. E ciò che seguita a cambiar
di posto secondo il capriccio delle fortune militari non può essere
dogma di fede né civile né religiosa.
Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi
par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati
di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare
le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non
ci avevano fatto nulla.
Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori
di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli
ordini di Mussolini. Anzi, per essere piu precisi, obbedienti agli ordini di
Hitler. Cinquanta milioni di morti.
E dopo esser stato così volgarmente mistificato dai miei maestri
quando avevo 13 anni, ora che sono maestro io e ho davanti questi figlioli
di 13 anni che amo, vorreste che non sentissi l'obbligo non solo morale (come
dicevo nella prima parte di questa lettera), ma anche civico di demistificare
tutto, compresa l'obbedienza militare come ce la insegnavano allora?
Perseguite i maestri che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da allora
a oggi non hanno più studiato né pensato, non me.
Abbiamo voluto scrivere questa lettera senza l'aiuto d'un giurista. Ma
a scuola una copia dei Codici l'abbiamo.
Nel testo stesso dell'art. 40 c.p.m.p. e nella giurisprudenza all'art. 51 del
c.p. abbiamo trovato che il soldato non deve obbedire quando l'atto comandato è manifestamente
delittuoso. Che l'ordine deve avere un minimo d'apparenza di legittimità.
Una sentenza del T.S.M. condanna un soldato che ha obbedito a un ordine di
strage di civili (13-12-1949 imputato Strauch).
Allora anche il Vostro ordinamento riconosce che perfino il soldato ha una
coscienza e deve saperla usare quando è l'ora.
Come potrebbe avere un minimo di parvenza di legittimità una decimazione,
una rappresaglia su ostaggi, la deportazione degli ebrei, la tortura, una guerra
coloniale?
Oppure, può avere un minimo di parvenza di legittimità un atto
condannato dagli accordi internazionali che l'Italia ha sottoscritto?
Il nostro Arcivescovo Card. Florit ha scritto che «è praticamente
impossibile all'individuo singolo valutare i molteplici aspetti relativi alla
moralità degli ordini che riceve» (Lettera al Clero 14-4-1965).
Certo non voleva riferirsi all'ordine che hanno ricevuto le infermiere tedesche
di uccidere i loro malati. E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise
ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936).
E neppure all'uso dei gas.
Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas è un fatto su cui è inutile
chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17-5-1925 ratificato dall'Italia
il 3-4-1928 fu violato dall'Italia per prima il 23-12-1935 sul Tacazzé.
L'Enciclopedia Britannica lo dà per pacifico. Lo denunciano oramai anche
i giornali cattolici (L'Avvenire d'Italia articoli di Angelo del Boca dal 13-5-1965
al 15-7-1965). Abbiamo letto i telegrammi di Mussolini a Graziani: «autorizzo
impiego gas» (telegramma numero 12409 del 27-10-1935) di Mussolini a
Badoglio: «rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque
scala» (29-3-1936). Hailè Selassiè l'ha confermato autorevolmente
e circostanziatamente (intervista per l'Espresso 29-9-1965 e sg.).
Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano barili d'iprite sono
criminali di guerra e non son ancora stati processati.
Son processato invece io perché ho scritto una lettera che molti considerano
nobile.
(carissime fra le tante le lettere di affettuosa solidarieta delle Commissioni
Interne delle principali fabbriche fiorentine, quelle dei dirigenti e attivisti
della C.I.S.L. di Milano e della C.I.S.L. di Firenze e quella dei Valdesi).
Che idea si potranno fare i giovani di ciò che è crimine?
Oggi poi le convenzioni internazionali son state accolte nella Costituzione
(art. 10). Ai miei montanari insegno a avere più in onore la Costituzione
e i patti che la loro Patria ha firmato che gli ordini opposti d'un generale.
Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no bruciar
vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso
dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta
i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D'Annunzio e ci han
regalato il fascismo e le sue guerre.
A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito.
L'umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c'è una
legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici,
ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la
chiama legge di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli
che non credono né nell'una né nell'altra non sono che un'infima
minoranza malata. Sono i cultori dell'obbedienza cieca.
Condannare la nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani
che essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi,
che i loro delitti li pagherà chi li avrà comandati.
E invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, che
vede ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele, rifiuta
di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol dimenticare quello che
ha fatto quand'era «un bravo ragazzo, un soldato disciplinato» (secondo
la definizione dei suoi superiori) «un povero imbecille irresponsabile» (secondo
la definizione che dà lui di sé ora).
(carteggio di Claude Eatherly e Günter Anders - Einaudi 1962).
Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano
che anche voi accettate. Il principio della responsabilità in solido.
Il popolo lo conosce sotto forma di proverbio: «Tant'è ladro
chi ruba che chi para il sacco».
Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio
il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono
che la responsabilità non si divide per due.
Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili
diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori.
Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a sé stesso
che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non
toglie il sonno all'uomo d'oggi.
E cosi siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una randellata
sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie il serbatoio
dell'apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non
si pente.
A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio
di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile
perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non
ha autore.
C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole.
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza
non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle
tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini
né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile
di tutto.
A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo
un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico.
COME SACERDOTE
Fin qui ho parlato come un cittadino e un maestro che crede con la sua
scuola e la sua lettera di aver reso un servizio alla società civile,
non di aver compiuto un reato.
Ma poniamo di nuovo che voi lo consideriate reato.
Quest'accusa se fatta a me solo e non anche a tutti i miei confratelli mette
in dubbio la mia ortodossia di cattolico e di sacerdote. Sembrerà infatti
che condanniate le idee personali di un prete strano. Ma io son parte viva
della Chiesa anzi suo ministro. Se avessi detto cose estranee al suo insegnamento
essa mi avrebbe condannato. Non l'ha fatto perché la mia lettera dice
cose elementari di dottrina cristiana che tutti i preti insegnano da 2000 anni.
Se ho commesso reato perseguiteci tutti.
Ho evitato apposta di parlare da non-violento. Personalmente lo sono. Ho tentato
di educare i miei ragazzi così. Li ho indirizzati per quanto ho potuto
verso i sindacati (le uniche organizzazioni che applichino su larga scala le
tecniche non-violente). Ma la non-violenza non è ancora la dottrina
ufficiale di tutta la Chiesa. Mentre la dottrina del primato della coscienza
sulla legge dello Stato lo è certamente.
Mi sarà facile dimostrarvi che nella mia lettera ho parlato da cattolico
integrale, anzi spesso da cattolico conservatore.
Cominciamo dalla storia.
La storia d'Italia fino al 1929 nella mia lettera è identica a come
la raccontavano i preti in seminario prima di quella data. Il mio vecchio parroco
mi diceva che La Squilla, il giornale cattolico di Firenze, aveva in vetta
e in fondo uno striscione nero. Portava il lutto del Risorgimento!
In quanto alla storia più recente cioè al giudizio sulle guerre
fasciste, può anche darsi che qualche mio confratello sia intimamente
un nostalgico, ma è notorio che la gran maggioranza dei preti sostiene
un partito democratico che fu il principale autore della Costituzione (dunque
anche della parola ripudia).
Veniamo alla dottrina.
La dottrina del primato della legge di Dio sulla legge degli uomini è condivisa,
anzi glorificata, da tutta la Chiesa.
Non andrò a cercare teologi moderni e difficili per dimostrarlo. Si
può domandarlo a un bambino che si prepara alla Prima Comunione: «Se
il padre o la madre comanda una cosa cattiva bisogna obbedirlo? I martiri disobbedirono
alle leggi dello Stato. Fecero bene o male?».
C'è chi cita a sproposito il detto di S. Pietro: «Obbedite
ai vostri superiori anche se son cattivi». Infatti. Non ha nessuna
importanza se chi comanda è personalmente buono o cattivo. Delle sue
azioni risponderà lui davanti a Dio.
Ha pero importanza se ci comanda cose buone o cattive perché delle nostre
azioni risponderemo noi davanti a Dio.
Tant'è vero che Pietro scriveva quelle sagge raccomandazioni all'obbedienza
dal carcere dove era chiuso per aver solennemente disobbedito.
Il Concilio di Trento è esplicito su questo punto (Catechismo III parte,
IV precetto, 16° paragrafo): «Se le autorità politiche comanderanno
qualcosa di iniquo non sono assolutamente da ascoltare. Nello spiegare questa
cosa al popolo il parroco faccia notare che premio grande e proporzionato è riservato
in cielo a coloro che obbediscono a questo precetto divino» cioè di disobbedire
allo Stato!
Certi cattolici di estrema destra (forse gli stessi che mi hanno denunciato)
ammirano la Mostra della Chiesa del Silenzio. Quella mostra è l'esaltazione
di cittadini che per motivo di coscienza si ribellano allo Stato. Allora
anche i miei superficialissimi accusatori la pensan come me. Hanno il solo
difetto di ricordarsi di quella legge eterna quando lo Stato è comunista
e le vittime son cattoliche e di dimenticarla nei casi (come in Spagna) dove
lo Stato si dichiara cattolico e le vittime sono comuniste.
Son cose penose, ma le ho ricordate per mostrarvi che su questo punto l'arco
dei cattolici che la pensano come me è completo.
Tutti sanno che la Chiesa onora i suoi martiri. Poco lontano dal vostro
Tribunale essa ha eretto una basilica per onorare l'umile pescatore che ha
pagato con la vita il contrasto fra la sua coscienza e l'ordinamento vigente.
S. Pietro era un «cattivo cittadino». I vostri predecessori del
Tribunale di Roma non ebbero tutti i torti a condannarlo.
Eppure essi non erano intolleranti verso le religioni. Avevano costruito a
Roma i templi di tutti gli dei e avevano cura di offrir sacrifici ad ogni altare.
In una sola religione il loro profondo senso del diritto ravvisò un
pericolo mortale per le loro istituzioni. Quella il cui primo comandamento
dice: «Io sono un Dio geloso. Non avere altro Dio fuori che me».
A quei tempi pareva dunque inevitabile che i buoni ebrei e i buoni cristiani
paressero cattivi cittadini.
Poi le leggi dello Stato progredirono. Lasciatemi dire, con buona pace dei
laicisti, che esse vennero man mano avvicinandosi alla legge di Dio. Così va
diventando ogni giorno piu facile per noi esser riconosciuti buoni cittadini.
Ma è per coincidenza e non per sua natura che questo avviene. Non meravigliatevi
dunque se ancora non possiamo obbedire tutte le leggi degli uomini. Miglioriamole
ancora e un giorno le obbediremo tutte. Vi ho detto che come maestro civile
sto dando una mano anch'io a migliorarle.
Perché io ho fiducia nelle leggi degli uomini. Nel breve corso della
mia vita mi pare che abbiano progredito a vista d'occhio.
Condannano oggi tante cose cattive che ieri sancivano. Oggi condannano la pena
di morte, l'assolutismo, la monarchia, la censura, le colonie, il razzismo,
l'inferiorità della donna, la prostituzione, il lavoro dei ragazzi.
Onorano lo sciopero, i sindacati, i partiti.
Tutto questo è un irreversibile avvicinarsi alla legge di Dio. Già oggi
la coincidenza è cosi grande che normalmente un buon cristiano può passare
anche l'intera vita senza mai essere costretto dalla coscienza a violare una
legge dello Stato.
Io per esempio fino a questo momento sono incensurato. E spero di esserlo anche
alla fine di questo processo. È un augurio che faccio ai patrioti. Chissà come
patirebbero se potessero leggere le tante lettere che ricevo dall'estero. Da
paesi che non hanno il servizio di leva o riconoscono l'obiezione. Quelli che
le scrivono sono convinti di scrivere a un paese di selvaggi. Qualcuno mi domanda
quanto dovrà ancora stare in prigione il povero padre Balducci.
Dicevamo dunque che oggi le nostre due leggi quasi coincidono. Ci sono
però dei casi eccezionali nei quali vige l'antica divergenza e l'antico
comandamento della Chiesa di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.
Ho elencato nella lettera incriminata alcuni di questi casi. Posso aggiungere
altre considerazioni.
Cominciamo dall'obiezione di coscienza in senso stretto.
Proprio in questi giorni ho avuto conforto dalla Chiesa anche su questo punto
specifico. Il Concilio invita i legislatori a avere rispetto (respicere)
per coloro i quali «o per testimoniare della mitezza cristiana, o per
reverenza alla vita, o per orrore di esercitare qualsiasi violenza, ricusano
per motivo di coscienza o il servizio militare o alcuni singoli atti di immane
crudeltà cui conduce la guerra».
(Schema 13 paragrafo 101. Questo è il testo proposto dalla apposita
Commissione la quale rispecchia tutte le correnti del Concilio. Ha quindi tutte
le probabilità d'essere quello definitivo).
Quei 20 militari di Firenze han detto che l'obiettore è un vile. Io
ho detto soltanto che forse è un profeta. Mi pare che i Vescovi stiano
dicendo molto piu di me.
Ricorderò altri tre fatti sintomatici.
Nel '18 i seminaristi reduci di guerra, se vollero diventare preti, dovettero
chiedere alla Santa Sede una sanatoria per le irregolarità canoniche
in cui potevano essere incorsi nell'obbedire ai loro ufficiali.
Nel '29 la Chiesa chiedeva allo Stato di dispensare i seminaristi, i preti,
i vescovi dal servizio militare.
Il canone 141 proibisce ai chierici di andare volontari a meno che lo facciano
per sortirne prima (ut citius liberi evadant)! Chi disobbedisce è automaticamente
ridotto allo stato laicale.
La Chiesa considera dunque a dir poco indecorosa per un sacerdote l'attività militare
presa nel suo complesso. Con le sue ombre e le sue luci. Quella che lo Stato
onora con medaglie e monumenti.
E infine affrontiamo il problema più cocente delle ultime guerre
e di quelle future: l'uccisione dei civili.
La Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a
meno che la cosa avvenisse incidentalmente cioè nel tentare di colpire
un obiettivo militare. Ora abbiamo letto a scuola su segnalazione del Giorno
un articolo del premio Nobel Max Born (Bullettin of the Atomic Scientists,
aprile 1964).
Dice che nella prima guerra mondiale i morti furono 5% civili 95% militari
(si poteva ancora sostenere che i civili erano morti «incidentalmente»).
Nella seconda 48% civili 52% militari (non si poteva più sostenere che
i civili fossero morti «incidentalmente»).
In quella di Corea 84% civili 16% militari (si può ormai sostenere che
i militari muoiono «incidentalmente»).
Sappiamo tutti che i generali studiano la strategia d'oggi con l'unità di
misura del megadeath (un milione di morti) cioè che le armi attuali
mirano direttamente ai civili e che si salveranno forse solo i militari.
Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente
(si può ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi del genere
il cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi
pare coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potrà partecipare
nemmeno come cuciniere. Gandhi l'aveva già capito quando ancora non
si parlava di armi atomiche.
«Io non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di distruzione
e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano alla guerra
e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra» (Non-violence
in peace and war. Ahmedabad 14 vol. 1).
A questo punto mi domando se non sia accademia seguitare a discutere di guerra
con termini che servivano già male per la seconda guerra mondiale.
Eppure mi tocca parlare anche della guerra futura perché accusandomi
di apologia di reato ci si riferisce appunto a quel che dovranno fare o non
fare i nostri ragazzi domani.
Ma nella guerra futura l'inadeguatezza dei termini della nostra teologia e
della vostra legislazione è ancora piu evidente.
E noto che l'unica «difesa» possibile in una guerra di missili
atomici sarà di sparare circa 20 minuti prima dell'«aggressore».
Ma in lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa.
Oppure immaginiamo uno Stato onestissimo che per sua «difesa» spari
20 minuti dopo. Cioè che sparino i suoi sommergibili unici superstiti
d'un paese ormai cancellato dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si
chiama vendetta non difesa.
Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza, ma Kennedy e Krusciov
(i due artefici della distensione!) si sono lanciati l'un l'altro pubblicamente
minacce del genere.
«Siamo pienamente consapevoli del fatto che questa guerra, se viene scatenata,
diventerà sin dalla primissima ora una guerra termonucleare e una guerra
mondiale. Ciò per noi è perfettamente ovvio» (lettera di
Krusciov a B. Russell, 23-10-1962).
Siamo dunque tragicamente nel reale.
Allora la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una «guerra
giusta» né per la Chiesa né per la Costituzione.
A più riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che è in
gioco la sopravvivenza della specie umana.
(Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace).
E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la
specie umana?
Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare
a fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente
che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino
a ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico
hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.
Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione
e d'ogni scuola insegneranno come me.
Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce
e così non riusciremo a salvare l'umanità.
Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri.
Se non potremo salvare l'umanità ci salveremo almeno l'anima."
