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FIRENZE

Mostre a Firenze: I Macchiaioli e la fotografia
4 dicembre 2008 – 15 febbraio 2009
Museo nazionale Alinari della fotografia Firenze - "Firenze per Fattori"
nel centenario della morte di Giovanni Fattori - I Macchiaioli

 

©www.zoomedia.it
vanna innocenti
4 dicembre 2008

Adriano Cecioni
1860 circa
"Fondo Vitali"
Biblioteca Marucelliana.

 

©www.zoomedia.it
vanna innocenti
4 dicembre 2008
"I Macchiaioli e la fotografia"
Sulla via di Settignano
1870 circa

I Macchiaioli

Lo stil nuovo
Fattori, Boldini, Signorini, Borrani, Lega, Zandomeneghi, Abbati, Sernesi, ovvero i principali esponenti della Macchia, gli artisti che nella seconda metà dell’Ottocento affermarono un nuovo modo di dipingere in senso verista. No a romanticismo, neoclassicismo, purismo accademico, sì alla riproduzione attenta del reale secondo una concezione formale basata sul rapporto dei colori, esaltati dai contrasti di luce e ombra. Una riforma europeizzante, in linea con i precetti del positivismo, che mirava a indagare, con rigore di metodo e austerità di controllo critico, natura, ambiente, storia e tradizione figurativa, per ottenere espressioni più adatte a rappresentare nella loro dimensione quotidiana la società e la cultura dell’epoca.
Al Caffè
Goliardi, bohémien, votati alla causa del Risorgimento e dell’Italia unita, a Firenze animarono di discussioni il Caffè Michelangiolo nell’allora via Larga, l’odierna via Cavour 21, locali oggi affittati alla ristorazione etnica, un Kebab Istanbul specchio della nuova immigrazione e della nuova Europa. Al Caffè, scrisse Adriano Cecioni, “tutto avveniva spontaneo e all'improvviso, il più delle volte una grave discussione aveva origi-ne da una parola grossa. A un tavolino vedevasi quattro o cinque che discutevano sul serio, a un altro sette o otto si sbellicavano dalle rise. Era un corbellare fine e reciproco, ora gli entusiasmi quarantottini del Lega, ora il pizzo di Ca' Bianca, la bazza del Fattori, la bocca del Signorini, gli occhialuti del Rivolta e il nasone di Nino Costa”.
La Gazzetta
Fu la Gazzetta del Popolo nel 1862 a battezzarli Macchiaioli in un articolo irrisorio, salvo ricredersi anni dopo, in conseguenza dei definitivi riconoscimenti ottenuti dal movimento all’Esposizione Nazionale di Firenze del 1865. A quel punto la stella dei Macchiaioli aveva però già iniziato a declinare, per spegnersi intorno agli anni Settanta dopo aver diffuso per tutta l’Italia i semi del Realismo.
Verismo
Gli esordi erano stati però esaltanti, fin da quando i due giramondo del Caffè Michelangiolo, Saverio Altamura e Serafino De Tivoli, avevano portato da Parigi il messaggio della nuova pittura, dei violenti chiaroscuri della scuola di Barbizon, del ton-gris tanto di moda. Il desiderio di sperimentare volse dunque i neo-macchiaioli verso il paesaggio, la pittura en plein air, la presa diretta con il vero. La campagna senese (Staggia), poi la tenuta di Diego Martelli a Castiglioncello, la Maremma, Fiesole e i dintorni di Firenze (Piagentina) divennero temi prediletti, insieme ai nuovi soggetti storici con cui i frequentatori del Caffè Michelangiolo mirarono a ottenere valori ideologici e formali diversi dalla tradizione romantica. La seconda guerra d'indipendenza (1859) rallentò queste ricerche: molti dei giovani artisti corsero ad arruolarsi e, tra quanti rimasero a Firenze, Fattori dipinse proprio in quei mesi uno dei suoi primi soggetti militari, i famosi soldati francesi di stanza alle cascine.
Risorgimento
Nel 1861 furono numerosi i dipinti macchiaioli alla Prima Esposizione Italiana. Giovanni Fattori con il Campo italiano dopo la battaglia di Magenta e Odoardo Borrani con Il 26 aprile del 1859, quadro ispirato ai fermenti patriottici precedenti la fuga da Firenze del granduca Leopoldo, testimoniano dell'atteggiamento critico e intransigente con cui il movimento affrontò i temi risorgimentali, sentimenti destinati a trasformarsi in delusioni e amarezze a causa delle politiche post unitarie.
A Parigi
In quel periodo anche Telemaco Signorini visitò Parigi con Cristiano Banti e Vincenzo Cabianca. Insieme videro il Salone altre esposizioni, frequentarono gli atelier di Corot e Decamps, i pittori di Barbizon, e nei temi campestri di Jules Breton e Jules Bastien-Lepage ammirarono la forza realistica e il tono solenne capaci di dare dignità alle umili vite contadine.
Sulla costa
Da allora gli artisti toscani diressero la loro ricerca verso una più quieta restituzione del naturale e verso un modo più bilanciato di comporre la veduta rispetto alle forti scansioni cromatiche elaborate in precedenza. Un nuovo corso che si materializzò anche sulla costa, nella Castiglioncello di Martelli, dove Fattori, Borrani e Raffaello Sernesi (poi ucciso nel 1866 nel corso della terza guerra d’indipendenza) dipinsero annessi agricoli, baiette ombreggiate e orti, incitandosi a vicenda sui modi nuovi di trasporre sulla tela quei paesaggi solitari, o altrimenti dedicandosi alla pittura di volti operosi e soggetti popolari (butteri, contadini, pescatori, massaie…).
Piagentina
A Firenze, luogo privilegiato d'ispirazione fu la campagna di Piagentina, ai margini est della città. Scrive Signorini: “Nella Firenze d'allora fuori la porta alla Croce..., si costeggiavano le mura lungo un sobborgo ... fino alla torre Guelfa. Di qui, dove erano le ultime case, e dove con mia madre e il mio fratellino abitavo io, la strada…si divideva in due: una portava a un bel viale di platani che andava dritto al ponte sospeso sull'Arno; l'altra inoltrandosi per un lungo tratto fra i campi fino a un ponticello sull'Affrico. Al di là del ponticello si stendevano gli orti e le case coloniche di quella campagna umile e modesta che fiancheggia l'Arno, detta Piagentina”.
In quella zona
viveva Virginia Batelli, la donna amata da Silvestro Lega, che anche perciò vi si trasferì tra i primi per dipingere en plein air campi e orti. Presto seguito da Signorini, Borrani, Giuseppe Abbati e Adriano Cecioni. Il lavoro isolato in campagna condusse a una serie di profonde riflessioni anche formali su quell’universo così amato e ormai così assediato dal materialismo della vita contemporanea e dal progresso. A Piagentina Borrani dipinse alcune delle sue opere più belle e meditate.
Disgregati
Fu comunque in quel periodo che il gruppo dei macchiaioli iniziò a disgregarsi. Fra il 1866 e il 1868 morirono Sernesi e Abbati, Cabianca si trasferì a Roma, mentre De Tivoli e Vito D'Ancona emigrarono a Parigi con Giovanni Boldini, Federico Zandomeneghi e Giuseppe De Nittis. Di quanti rimasero in Toscana, alcuni viaggiarono in Italia e in Europa, altri si rifugiarono in luoghi solitari e incontaminati. Fattori continuò a dipingere e a insegnare all’Accademia di Belle Arti. Fino alla morte.

"I Macchiaioli e la fotografia"
MNAF. Museo Nazionale Alinari della Fotografia
4 dicembre 2008 – 15 febbraio 2009

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Pagina pubblicata il 12-12-2008 - Aggiornato il 08-Lug-2016