Bagliori
dorati. Il Gotico Internazionale a Firenze 1375-1440.
Galleria degli Uffizi fino al 4 novembre
2012
"Tradizione
e novità" di Antonio Natali

Annunciazione, tempera su tavola degli anni 1415
- 1420 di Paolo di Dono, detto Paolo Uccello (Firenze 1397 -
1475) prestito alla mostra "Bagliori
dorati. Il Gotico Internazionale a Firenze 1375-1440" alla Galleria
degli Uffizi dall' Ashmolean Museum di Oxford.
"Tradizione e novità"
"Nel 2008
la Galleria degli Uffizi allestì un'esposizione dal titolo esplicito: L'eredità
di Giotto. Arte a Firenze 1340-1375. Le opere esibite in
quella mostra badavano a riscattare l'espressione figurativa fiorentina
dal pregiudizio critico d'una decadenza che sarebbe stata susseguente alla
scomparsa di Giotto.
Nel percorso che si snodava al primo
piano dell'edificio era dato sperimentare l'alto valore poetico di molte
creazioni dovute ad artefici che da Giotto avevano preso le mosse o che
da lui s'erano invece dissociati, pur sempre essendone tuttavia in qualche
modo debitori. E alla fine del tragitto n'usciva avvalorata la convinzione
che nel corso del Trecento l'arte a Firenze avesse seguitato il suo nobile
svolgimento, senza patire dell'ombra dei crepuscoli; non di rado anzi
toccando picchi di qualità.
Lavorando su quell'epoca - che le date
in epigrafe circoscrivono - venne naturale progettare l'estensione dell'esegesi
ai tempi subito successivi, stilisticamente peraltro consanguinei.
Maturò allora l'idea di offrire
al vaglio dei visitatori degli Uffizi la lingua del gotico fino ai suoi
estremi e splendidi prolungamenti, ben dentro quel secolo - il Quattrocento
- in cui manualistiche partizioni (non del tutto piegate ancor oggi dall'evidenza
contraria dei fatti) hanno a lungo indotto all'avviso che quella lingua
fosse da reputare financo un'intrusa.
Lingua spaesata, dunque; ancorché magnifica. Lingua parlata da artefici
grandi, ma nati in un'età sbagliata; incapaci di accogliere le novità
rivoluzionarie che già agli esordi del Quattrocento prendevano campo.
Se credenze siffatte sono ormai confinate
nelle retroguardie, ancora rimane forse vigente qualche traccia dell'opinione
- parimenti, a mio giudizio, erronea - che l'eloquio del gotico nella
sua fase ultima (quella che s'era convenuto chiamare appunto "internazionale")
non pertenga al pensiero al pensiero umanistico fiorentino del Quattrocento;
quasi che le innovazioni introdotte da Brunelleschi, Masaccio, Donatello
- tanto per fare quei nomi che servono a capirsi - fossero le sole ad
aver diritto d'esserne pertecipi.
La mostra ha l'aspirazione d'illustrare il
tragitto dell'arte a Firenze nell'arco di tempo che va proprio dal periodo
che chiudeva l'esposizione dell'Eredità di
Giotto (1375) agli anni che
di poco precedono la metà del quindicesimo secolo (1440). E tenta
di farlo tenendo conto - come da sempre reputo sia indispensabile in
un museo visitato da un pubblico innumere - della necessità di sfuggire
a due tentazioni (entrambe perniciose) che possono sottendere l'esposizioni:
da una parte l'avvitamento su questioni specialistiche (a uso di pochi
sacerdoti d'una liturgia incomprensibile ai più), dall'altra l'appiattimento
su concetti abusati e frusti a favore d'un successo il più possibile
largo, che però s'alimenta di luoghi comuni e degli stessi celebratissimi
nomi, in un vuoto d'intenti educativi.
L'auspicio è che - tramite un
ricco florilegio di dipinti, sculture, codici miniati, oreficerie - si
possano apprezzare
le virtù eminenti d'un idioma che si muove nell'alveo della gloriosa
tradizione trecentesca e s'innerva poi nel tessuto linguistico del del
secolo seguente; ma si possa al contempo - e forse soprattutto - comprendere
la complessità della storia (in generale) e della storia dell'arte
(in questo caso), fornendo di quell'espressione un codice di lettura
in base
al quale anche il "Gotico Internazionale" nelle sue varie declinazioni,
risulti a pieno titolo parte dell'umanesimo. L'attestano le pagine degl'intellettuali
fiorentini d'allora, lo confermano le scelte dei committenti coevi (inclini
a rivolgersi, per di più negli stessi tempi, ad artisti, da noi ritenuti
invece perfino fra loro incompatibili) e ne fanno finalmente fede gli
artisti medesimi (capaci d'esprimersi in un idioma ora tradizionale ora
innovativo ora comprensivo di tutt'e due le cadenze).
Parrà significativo, dopo quanto
s'è
detto, che la mostra si chiuda con la Battaglia di San Romano di Paolo
Uccello, che - appena restaurata e, anzi, presentata in anteprima dopo
l'intervento - si offre al visitatore come sintesi mirabile della complessità
intellettuale e spirituale d'una speciale stagione dell'arte fiorentina,
quando rigore matematico e sperticate fantasie convissero; intersecandosi
talora."
"Tradizione e novità" di
Antonio Natali, nel catalogo della mostra edito da Giunti.

Nell'immagine si vede
la tempera su tavola degli anni intorno al 1424-1425 "Sant’Anna,
la Madonna col Bambino e cinque angeli" (“Sant’Anna
Metterza”, festeggiata anche nella tradizione
fiorentina).
L'opera fu realizzata da (Tommaso di Cristofano Fini, detto
Masolino (Panicale di Renacci? 1383/84 - documentato fino al 1435) e
da Tommaso di ser Giovanni, detto Masaccio (San Giovanni Valdarno 1401
- Roma 1428). Ora esposta nel percorso della mostra: Bagliori
dorati. Il Gotico Internazionale a Firenze 1375-1440" alla Galleria
degli Uffizi.
