Musei -
Uffizi - Mostre
"L’austera magnificenza
degli arazzi"
saggio di Antonio Natali, Direttore della Galleria
degli Uffizi.
La
Galleria degli arazzi - Epifanie di tessuti preziosi
Dedicata alla collezione
di arazzi degli Uffizi - 20 marzo – 3 giugno
2012
Nell'immagine si vede un particolare dell'arazzo
"Cristo davanti ad Erode" (Disegno e cartone della scena: Ludovico
Cardi, detto il Cigoli). La trama è in seta, oro e argento dorato ed è stato
tessuto tra il 1598-1601.
L’austera magnificenza degli arazzi
"In
quest’anno 2012 la Galleria degli Uffizi ospiterà due mostre
nelle sale del primo piano, quelle cioè che fra non molto – ultimati
i lavori di restauro architettonico e completati gl’impianti – saranno
deputate all’esposizione permanente della collezione del museo.
L’auspicio è che
queste due mostre siano fra le ultime (se non proprio le ultime in assoluto)
a essere allestite in questi spazi e che per l’esposizioni temporanee
si possa entro breve contare sulla grande sala voltata sottostante alla
Biblioteca degli Uffizi; sala che in un primo momento era stata invece
riservata ai laboratori di restauro. Ma riguardo alla consegna degli
ambienti rinnovati l’esperienza obbliga alla cautela e perfino
a qualche gesto apotropaico. Meglio non sbilanciarsi nella cronologia
delle accessioni.
Due mostre dunque. Una, dedicata all’arte fiorentina
tra la fine del Trecento e i primi decenni del Quattrocento, ch’è stata
programmata fin dai tempi dell’esposizione titolata L’eredità di
Giotto. Arte a Firenze 1340-1375. Ordinata tre anni or sono
in queste medesime sale, la rassegna fu concepita come prima frazione
d’un
percorso di rilettura della lingua figurativa a Firenze, destinato
a chiudersi appunto
con la mostra che s’inaugurerà a metà giugno avente
per titolo Bagliori dorati. Il Gotico Internazionale a Firenze
1375-1440.
L’altra esposizione è quella che qui s’introduce
e che si prefigge di far conoscere al pubblico della Galleria un
settore prezioso
delle sue collezioni, la cui fama (antica e nobile) va declinando
per via di un’assenza – che dura da decenni, ormai – dai
luoghi aperti ai visitatori. Si tratta degli arazzi: opere d’arte
che il tempo – assai più d’altri manufatti – consuma
impietoso. La luce, la polvere, la trazione conseguente all’appendimento,
sono le cause principali della degenerazione del loro stato conservativo.
Al pari delle opere su carta, gli arazzi (i tessuti in genere) non
possono essere esibiti per lassi di tempo troppo lunghi. Pena un
degrado che
porta a un progressivo, inarrestabile sbiadimento.
Nell'immagine si vede il corridoio di levante degli
Uffizi prima del 1987 allestito con gli arazzi.
Chi abbia avuto
la ventura d’entrare in un laboratorio di restauro
d’arazzi e abbia pertanto avuto l’agio d’osservare
da vicino quei panni, sarà rimasto sbalordito al cospetto
della cromia accesa che ne informa il rovescio, essendo – quest’ultimo – naturalmente
scampato all’ingiuria della luce, coi colori che ancora quasi
si offrono alla stregua d’un tempo; e avrà del pari
provato sconcerto constatandone il divario col recto; divario tanto
più brusco, quanto
più lunga sia stata l’esposizione di quell’arazzo
alla luce.
È
bene che siano divulgati questi aspetti della custodia delle opere
tessili, giacché spontaneo altrimenti verrebbe chiedersi
perché creazioni
così liriche e seducenti vengano celate agli occhi del
pubblico. Mi torna opportuno, a questo proposito, rammentare
il disappunto di Franco
Zeffirelli subito dopo aver visto i corridoi degli Uffizi senza
più gli
arazzi (rimossi nel 1987). Accompagnandolo per un sopralluogo
in Galleria, dovetti sopportarne l’energiche riprovazioni.
Zeffirelli ricordava l’eleganza raffinata di quegli aulici
panni, appesi alle pareti dirimpettaie ai finestroni sul piazzale,
e serbava dei corridoi un’immagine
di magnificenza austera che io stesso avevo lucida nella memoria.
Mi sforzai – senza troppo costrutto, a vero dire – d’illustrargli
le ragioni della scelta che aveva spogliato quegli ambienti solari
(solari, giustappunto, e perciò nefasti per gli arazzi,
ancorché le
vetrate a chiusura della loggia fossero già state tutte
schermate per il filtraggio degli ultravioletti). Ma non ci fu
argomento che servisse
a convincerlo dell’ineluttabilità di quella risoluzione.
Poco o punto valevano le argomentazioni della tutela con lui,
ch’era venuto
a cercare un’aristocratica ambientazione (a voler essere
preciso, dovrei dire location, se il vocabolo non mi
suonasse ripugnante come
tutti gli anglicismi abusati). I corridoi gli apparivano disadorni
(forse squallidi)
e questo gli bastava. Il resto erano discorsi.
Ho sperimentato
di recente, nella circostanza della preparazione della mostra
del Bronzino a Palazzo Strozzi (2010), i danni che
un’esposizione
permanente o almeno prolungata produce sugli arazzi. Per quella
rassegna s’era deciso d’esporne alcuni con le storie
di Giuseppe ebreo (venti panni – dieci al palazzo del Quirinale
e dieci in Palazzo Vecchio a Firenze – tessuti a cavallo
fra gli anni Quaranta e Cinquanta del Cinquecento su disegni
del Pontormo, del Bronzino e di Francesco Salviati,
dietro commissione del duca Cosimo de’ Medici). Quella
serie è stata
negli ultimi due/tre decenni tutta restaurata con professionalità sicura
e grande sensibilità, sicché teoricamente il suo
aspetto dovrebbe manifestarsi omogeneo in ogni scena. Così invece
non è.
E il motivo sta proprio nella sua storia collezionistica. Gli
arazzi pervenuti al palazzo del Quirinale allo scorcio dell’Ottocento
sono stati esposti molto a lungo, assai meno quelli rimasti a
Firenze. A Roma gli episodi
di Giuseppe ebreo sono quasi scoloriti; a Firenze – malgrado
abbiano comunque perso parecchio delle loro vivide tonalità – tuttora
lasciano apprezzare la loro cromia. Tant’è vero
che a palazzo Strozzi, per la mostra del Bronzino, la sala con
gli arazzi fiorentini
di Giuseppe è stata una di quelle che hanno riscosso la
maggiore ammirazione, riuscendo meglio di altre a dar l’idea
della lirica altezza dell’artista e della sua capacità di
render magnifica la residenza della corte medicea.
In antico
si sapeva dei guasti che la luce produce sui tessuti; sicché gli
arazzi venivano tirati fuori dalla Guardaroba nelle
celebrazioni solenni e nelle occasioni di festa. E in quei frangenti
le dimore
aristocratiche
crescevano in dignità. In epoca moderna s’è invece
spesso pensato che il loro corredo fosse così pregiato
da meritare d’esser mantenuto, fino a diventare arredo
permanente, con l’intenzione
di nobilitare ancor più le stanze dei palazzi. Così è,
per esempio, successo al Quirinale; del quale è financo
inutile dire ch’è sede prestigiosa; anzi, la più prestigiosa
che possa esserci in Italia. Solo che qui è in gioco la
sopravvivenza medesima di capi d’opera fra i più preziosi
dell’intera
nostra storia dell’arte. E tanti sono gli arazzi che arredano
le sedi di rappresentanza dello Stato; sia sul suolo italiano
che all’estero.
Reputo davvero urgenti una riconsiderazione di questo patrimonio
ad alto rischio e una riflessione scrupolosa sul destino che
gli si voglia accordare.
C’è da far chiarezza sul
futuro di quest’eredità:
esibirla in permanenza per farne gustare le virtù indubbie
e per dar lustro agl’interni d’edifici pubblici o
proteggerla in luoghi appropriati per trasmetterla a nostra volta
alle generazioni venture?
Le due vie – almeno allo stato attuale delle conoscenze
e degli strumenti – non
sono conciliabili. Possibile è semmai un ponderato compromesso;
vale a dire un’esposizione degli arazzi per brevi periodi
e a rotazione, sempre naturalmente in condizioni d’illuminazione
e di microclima tarate sull’esigenze della conservazione.
La
rimozione dei panni dai corridoi degli Uffizi rappresentò nel
1987 l’esito coerente di questi ragionamenti. Finché dunque
non saranno disponibili le sale al piano terreno dell’edificio – appositamente
progettate per ospitare gli arazzi sia pure in una ragionata
turnazione – queste
opere superbe rimarranno confinate nelle stanze della riserva
attrezzate per la loro migliore tutela. Non si perderà tuttavia
occasione per farle nel frattempo godere dal maggior numero possibile
di visitatori.
Come proprio in questo caso s’è fatto.
È
stata una favorevole contingenza a consentire oggi d’esporre
diciassette arazzi desunti da otto serie ragguardevoli delle
collezioni del museo.
Contingenza che permette non solo di render manifesto al pubblico
quale sia il tenore qualitativo di queste creazioni, ma anche
di sottolineare
quanto sia importante procedere a interventi di restauro sulla
più parte
di questa raccolta.
Alcuni degli arazzi del ciclo "Feste dei Valois" nella
mostra "La
Galleria degli arazzi - Epifanie di tessuti preziosi"
Gli arazzi – a dispetto di misure sovente
monumentali e d’una
presenza apparentemente solida – sono manufatti delicati.
Chi osservi con attenzione i pezzi scelti in questa circostanza
si avvedrà che
la superficie non di rado reca segni di sofferenza. La risoluzione
d’offrire
alla vista i panni bisognosi di cure accanto a quelli sortiti
da un intervento di riassetto risponde anch’essa a una
precisa volontà didattica;
ch’è quella di dar conto delle grandi possibilità di
risarcimento fisico ed estetico consentite dalla scuola di restauro
fiorentina, una delle migliori al mondo.
Ogni visitatore – potendo
nel percorso della mostra contare su un’illustrazione
concisa ma perspicua dei metodi esecutivi e, insieme, delle tecniche
di restauro – avrà modo di prendere coscienza della
complessità d’ogni
intervento, al contempo soppesandone la maestria e l’estro
sottesi. E nell’acquisita consapevolezza di dita che si
muovono filo a filo, non gli riuscirà arduo darsi ragione
dei tempi lunghi d’ogni
restauro (ma anche d’ogni mera manutenzione). E per conseguenza
non durerà fatica a figurarsene i costi.
Eccoci allora
pervenuti a un’altra delle ragioni sottese all’allestimento
di quest’esposizione. C’è parso importante
che chi ama la Galleria fiorentina e magari, avendone le possibilità,
intenda farsene mecenate, potesse tornare a posar lo sguardo
su queste creazioni
davvero in grado di muovere emozioni forti. Non è raro
che si sperimenti una grande generosità nei confronti
degli Uffizi; ma è comprensibile
ch’essa si concreti in operazioni di cui tutti sempre possano
godere. Con gli arazzi – per i motivi che si sono illustrati – c’è al
contrario la certezza che gli esiti di quella generosità saranno
apprezzabili solo per periodi circoscritti di tempo. E però gli
Uffizi pur sempre sanno gratificare gli artefici di gesti munifici
compiuti per loro bene (e non solo pubblicamente manifestando
la propria gratitudine).
Lo dimostrano chiaramente le carte conservate nell’archivio
storico, dove fin da anni remoti è serbata memoria ufficiale
e solenne d’ogni
atto liberale.
L’auspicio è in ultima analisi che
la mostra attuale sappia restituire alla collezione d’arazzi
della Galleria il ruolo eminente che le compete, al contempo
instillando nei fiorentini e nei tanti ospiti
forestieri la coscienza che poliedrico e tutto aulico è il
patrimonio degli Uffizi, non consistendo esso soltanto nel pur
ricchissimo e selezionato
florilegio di capi d’opera che compongono la pinacoteca.
L'austera magnificenza degli arazzi di A. Natali