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Uffizi Galleria
La tela, da oggi in Galleria ed esibita
nella Sala dei Gigli di Palazzo
Vecchio fino a pochissimi giorni fa, fu presente alla mostra
del Bronzino di Palazzo Strozzi nel 2010-2011. "In quella
circostanza - racconta il direttore Antonio Natali, fu collocata
accanto alla tavola, d’identica impaginazione e affine
espressione, conservata alla National Gallery di Washington.
Confronto ravvicinato da cui uscì rinvigorito il convincimento
(peraltro già diffuso) che la redazione fiorentina fosse
da reputare autografa e che l’opera americana ne fosse
invece una replica, ancorché quasi coeva”.
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In mostra dal 7 luglio 2015 nella Galleria
degli Uffizi il Ritratto allegorico di Dante Alighieri dipinto
dal Bronzino (Agnolo di Cosimo; Monticelli, Firenze 1503-Firenze
1572).
L'opera, olio su tela del 1532-1533, viene esposta al primo piano
del museo, nella Sala 65 della Galleria degli Uffizi, grazie alla
concessione del collezionista privato che la conserva. L’opera
rappresenta una testimonianza del culto rinascimentale per gli
uomini illustri e in particolare per i letterati fondatori della
lingua italiana.
Gli Uffizi rendono omaggio alla memoria del poeta in questo 2015,
dove si celebrano i 750
anni dalla nascita di Dante Alighieri.
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Un po’ di storia
Le vicende storiche di questa lunetta sono legate a un episodio riferito
da Giorgio Vasari nella Vita del Bronzino. Al suo ritorno da Pesaro
il pittore ricevette da Bartolomeo Bettini la commissione dei ritratti
dei tre padri della letteratura italiana, Dante, Petrarca e Boccaccio,
da collocare nelle lunette di una stanza della sua abitazione.
Il significato
complessivo del progetto è descritto nella Vita del Pontormo,
che per quella stessa stanza eseguì una tavola con Venere
e Amore, su cartone di Michelangelo.
Dei ritratti dei tre grandi l’unico
ad oggi conosciuto è quello di Dante: esistono infatti
un disegno preparatorio a Monaco, una replica di bottega su tavola conservata
nella
Collezione Kress della National Gallery of Art di Washington, la presente
redazione su tela in collezione privata fiorentina, svariate copie grafiche
e la xilografia del solo busto, sul frontespizio della Divina
Commedia pubblicata
a cura di Francesco Sansovino nel 1564.
Vicende attributive
Nel 1956 la tavola statunitense, radicalmente restaurata, fu acquistata
come opera della bottega di Vasari;
nel 1964 Luciano Berti ne ascrisse
la paternità al Bronzino, mentre nel 1991 Alessandro Cecchi preferì considerarla
una replica autografa. L’attribuzione fu poi ridimensionata da Jonathan
Nelson, che la ritenne un prodotto di buona fattura della bottega del pittore,
dipinto forse su commissione di un membro dell’Accademia Fiorentina
probabilmente dopo il 1541, quando la disputa sul primato del volgare toscano
e l’interesse per Dante infervorarono non solo gli studi letterari,
ma anche il dibattito politico.
Su questo fronte, sia Bettini, sia il suo amico Michelangelo Buonarroti
erano fortemente impegnati nel difendere la Repubblica contro la tirannia
del duca Alessandro de’ Medici e il Canto XXV del Paradiso,
leggibile sul libro sorretto da Dante desideroso di rientrare
dall’esilio,
si adatta particolarmente alle vicende politiche della famiglia Bettini.
La
tela, di collezione privata e pubblicata nel 2002 come Bronzino da
Philippe Costamagna, è attualmente ritenuta dalla
critica autografa di Agnolo Tori, detto il Bronzino.
Il supporto in
tela, per quanto infrequente a Firenze nella prima metà del
Cinquecento, non è pregiudizievole per la sua autenticità:
ne esistono altri illustri esempi, quali la nota Cena in Emmaus del
Pontormo per la Certosa del Galluzzo o il Nano Morgante dello
stesso Bronzino, entrambe agli Uffizi.
Non sono note le
vicende che hanno portato il dipinto fuori da casa Bettini e la sua
storia successiva.
Il ritratto, quantunque la tela
sia supporto
delicato, si dimostra di eccellente fattura, visibile soprattutto
negli incarnati, che sono di una consistenza affine a quella di
dipinti coevi come il Ritratto del suonatore di liuto degli
Uffizi e il Pigmalione e Galatea dello stesso
museo.
Rispetto alla lunetta quasi gemella della National Gallery
di Washington (cui alla mostra
del Bronzino di Palazzo Strozzi nel 2010-2011 a Palazzo
Strozzi la
tela fiorentina fu affiancata) l’andamento dei panni, simili
a quello della Venere
e Amore del Pontormo, appare molto meno schematico;
la pittura presenta un segno più sicuro e l’espressione
del volto del poeta appare più ispirata. Il quadro dimostra
anche una particolare sensibilità per la luce, che può esser
derivata dalla conoscenza della pittura di Dosso, con cui il Bronzino
entrò in contatto all’Imperiale
di Pesaro nel 1531.
Fonte: Uffizi