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Cenni
biografici:
Igino Benvenuto Supino nasce a Pisa nel 1858 e
vi trascorre tutta la prima giovinezza.
La sua è una
famiglia colta e benestante, tra le più in vista della
Comunità Ebraica della città e
il padre, Moisè, un raffinato intellettuale e collezionista:
in particolare, di sigilli, monete e medaglie medievali e rinascimentali,
poi lasciati al Museo di Pisa.
Dopo gli studi liceali, la passione
per la pittura porta Igino alla scuola di Alessandro Lanfredini,
pittore di soggetti storici
e risorgimentali,
allora assai noto.
Nel 1883, per proseguire la sua
formazione artistica, il giovane si trasferisce a Firenze dove
si iscrive
all’Accademia
di Belle Arti e frequenta la scuola di Antonio Ciseri, pittore
di formazione accademica, celebre ritrattista e autore di grandi
quadri
di tema religioso, interpretati con sensibilità e forma
moderne. Attraverso i compagni d’Accademia, Igino incontra
e frequenta contemporaneamente anche i protagonisti e i seguaci
del movimento
macchiaiolo e stringe legami di amicizia con Giovanni Fattori
e Telemaco Signorini, che apprezzano i suoi primi saggi di
pittura,
presentati
alle esposizioni fiorentine tra il 1885 e il 1889:
oltre all’influenza
dei macchiaioli, vi si coglie una progressiva adesione alle
moderne correnti del Simbolismo, nella connotazione intimista
aggiornata
alla pittura francese, rappresentata a Firenze soprattutto
da Vittorio Corcos, coetaneo di Supino e divenuto suo intimo
amico.
La sua curiosità intellettuale, e forse una sorta
di personale insoddisfazione, lo spingono a frequentare assiduamente,
fin dal
1886, le lezioni che Pasquale Villari e Alessandro D’Ancona
tengono all’Istituto di Studi Superiori di Firenze e
si appassiona sempre di più all’indagine storica
condotta secondo i nuovi princìpi del Positivismo, basati
sulla ricerca documentaria più rigorosa e senza certezze
preconcette.
Nonostante i primi importanti riconoscimenti,
anche internazionali, delle sue opere,
decide di abbandonare la pittura a favore della storia
dell’arte.
Tra il 1888 e il 1889 soggiorna
a Roma, dove incontra Adolfo Venturi e dà prova delle sue
capacità critiche
collaborando con alcuni giornali e riviste, tra cui il “Don
Chisciotte”.
Nel 1891 torna a Pisa per dedicarsi
interamente agli studi, in particolare sul Medioevo e
il Rinascimento, gli viene
affidato il nuovo ordinamento
del Museo Civico della città, inaugurato con successo
nel 1893, con echi favorevoli anche nella stampa internazionale.
E’ nominato
Ispettore dei Monumenti di Pisa e Cavaliere. Nel frattempo,
vengono pubblicati i suoi primi articoli – su Giovanni
Pisano, Tino di Camaino, Giambologna,… – sull’ “Archivio
Storico dell’Arte”, rivista fondata e diretta
da Adolfo Venturi.
Nel 1896, è chiamato all’incarico
di Ispettore responsabile del Museo Nazionale del Bargello,
cui dedicherà per
dieci anni tutte le sue energie intellettuali, catalogando
il patrimonio del museo, vagliando le nuove acquisizioni,
progettando un suo completo
riordinamento e dedicando importanti pubblicazioni alle
sue raccolte (dalla Collezione Carrand, al Medagliere
mediceo,
alla collezione
Ressman). Nel 1904 viene nominato Direttore del Bargello,
incarico fino ad allora associato al Soprintendente delle
Gallerie Fiorentine
(dal 1903, Corrado Ricci, cui fu legato da profonda e
reciproca stima). Tiene regolarmente corsi e lezioni
all’Istituto
di Studi Superiori e pubblica, in quel decennio, molti
studi dedicati per lo più ad
artisti del Medioevo e del Rinascimento e alcune monografie,
tra le prime ad essere illustrate da fotografie (Beato
Angelico, Filippo
Lippi, Botticelli, Cellini…). Intuendo l’importanza
della fotografia negli studi storico-artistici, è fra
gli azionisti della Nuova Fratelli Alinari.

(Nell'immagine: dalla mostra, il frontespizio del primo
catalogo del Museo del Bargello curato da Supino)
La sua fama crescente di storico, forte della perfetta
conoscenza di più lingue e ormai accreditata
anche all’estero,
lo induce a dedicarsi completamente allo studio e alla
docenza.
Nel 1906 vince la cattedra di Storia dell’Arte
all’Università di
Bologna, dove si trasferisce definitivamente con la
famiglia.
Per quasi trent’anni, i suoi corsi
universitari avranno grande seguito, anche per il metodo
innovativo del suo insegnamento, che
si basava sulle ricerche d’archivio e faceva
largo uso delle fotografie, educando gli allievi all’analisi
visiva e diretta delle opere d’arte.
L’arte
bolognese – compresa
l’architettura – diventa il suo campo d’indagine
prevalente.
A Bologna, come già prima a Firenze, il suo credito
di studioso – ma
anche il suo carattere vivace, aperto e appassionato
all’attualità – lo
fanno amico di molti dei protagonisti della cultura
italiana del tempo, non solo nel campo della storia dell’arte:
fra gli altri, Giovanni Pascoli fu assiduo frequentatore
della sua casa.
Nel 1933, per sopraggiunti limiti di età,
lascia al suo successore – Roberto
Longhi – la cattedra bolognese, ma mantiene l’incarico
di Professore Onorario dell’Istituto, di cui
era stato di fatto il fondatore e a cui gli eredi legheranno
la sua biblioteca e la
sua ricchissima fototeca.
Nel 1938, con l’imporsi
delle leggi razziali, è costretto a ritirarsi
completamente da ogni ruolo pubblico. Nella solitudine
della sua casa di via Dante, già così frequentata
e ospitale, continuerà a preparare l’ultimo
volume sull’Arte
nelle chiese di Bologna, che lascerà incompiuto
alla morte, avvenuta nel 1940. |