Riconoscendo tuttavia che le pittrici "rappresentate agli Uffizi
non ebbero (...) alcuna intenzione di sedurre o di ricercare effetti",
la Viallet rimpiangeva i buoni semplici ritratti d'altri tempi
dovuti "all'arte lenta e preparata... quando si faceva
della vita con la pittura, mentre oggi si fa della fotografia col
pennello" (6);
non esitava anche a scendere in campo a difesa delle artiste dal
momento che
- notava - "il sesso femminile è sempre ed inevitabilmente
legato ad una quantità di pregiudizi sulle sue capacità intellettuali".
E spiegava quali (!): "Queste donne... avevano la pazienza
necessaria alla copia dei dettagli dell’abbigliamento, senza
essere per questo delle decoratrici di fantocci e nello stesso
tempo, intanto che chiacchieravano con i loro modelli, trovavano
il modo, attraverso lo spiraglio che una parola, un gesto od un
sorriso apriva loro, di penetrare nell’anima".
Le biografie delle artiste presentate dalla Viallet, cui si riconosce
sensibilità a cogliere problematiche storiche, anche se per
il pensiero misurato non precorre propriamente le più tarde
radicali rivendicazioni femministe, offrivano, insieme a note storiche
ben documentate, anche una varietà interessante di coloriture
d’espressione, spesso in bilico tra attardati romanticismi
e qualche sguardo al linguaggio di una società in mutamento,
quella del secolo nuovo. Nel Novecento, già avviato e segnato
da travolgimenti bellici e sociali, sempre più determinate
e numerose artiste si esponevano, spesso scegliendo forme audaci,
provocatorie, mettendo soprattutto in discussione quella "visione" ideale
in cui a lungo era stata circoscritta la figura della donna in generale,
e dell’artista "nel particulare".
Pertanto il contributo
della Viallet ha un suo peso, un significato non trascurabile,
anche se i nomi di artiste allora presenti agli Uffizi non varcano
la soglia
del XX secolo.
Di biografie per lo più si trattava
e considerando l'oggetto/soggetto iconografico - l'autoritratto
-
il taglio era coerente, fornendo dati dei percorsi di vita tradotti
in impegno e lavoro.
Erano 30 le autoritratte nel 1923; appena
l’anno seguente la Direzione della Galleria avrebbe
richiesto all’americana Cecilia Beaux quell’autoritratto tutto giocato sulle variazioni di rossi -
comunicativo di una visione "vincente" - che giungerà nel 1926 e verrà esposto, in evidenza
su cavalletto, a palazzo Pitti, con un rilievo che ricordava il più celebre autoritratto di
Elisabeth Vigée Le Brun, in mostra nella sala dei pittori agli Uffizi, copiatissimo e
dunque in privilegiato confronto con le decine di autoritratti di artisti che "foderavano" le
pareti della sala. Con l'arrivo della Beaux, aria internazionale,
anche se a ritmo episodico,
aggiornava la Collezione, con una sorta
d’ingresso da "grand tour" ormai aperto
anche agli
apporti d’oltre Oceano. Un ingresso lento, che
per vie diverse e in proporzioni fortemente
minoritarie, avrebbe
fatto raggiungere la "vetta" di un centinaio di presenze
femminili nel
corso di tutto il Novecento. Una proporzione
assolutamente "irrispettosa", quantomeno
non veritiera dello svolgimento delle arti nel Novecento, con
quello sparuto 7% di "autoritratte"
che si "smarrisce" nell’intera
Collezione, oggi di 1700 ritratti d’artista. Ragioni e
occasioni diverse,
che analizzeremo tra poco, sono all’origine
dei dati numerici e delle scelte operate.
Dalle molte interrogazioni
su questi dati ha avuto origine la ricerca tradotta in percorso
espositivo cronologico,
la volontà - pensata
per l’aggiornamento e il futuro della Collezione -
di unire venti nuovi autoritratti
di artiste italiane e internazionali
vicine ai tempi nostri, che assumeranno un ruolo di simbolica
" compensazione",
esemplificando con l’autoritratto offerto alla Galleria
quante mutazioni di pensiero,
stile o tecnica abbiano fecondato
il secolo appena trascorso; e ciò proprio
ad opera di tante
donne risolute e impegnate. L’esposizione,
oltre a proporre una lettura e una verifica, tra
nomi e numeri,
della storica condizione di subalternità della
donna artista, circoscritta troppo
a lungo a campi riduttivi
della propria espressività, rispetto almeno alle opportunità offerte
all’universo maschile, ha scelto di considerare le acquisizioni
favorite da collezionisti/mecenati/direttori,
per seguire dalla
parte della Collezione il corso degli ingressi nella raccolta,
dal Seicento ai nostri giorni,
selezionando opere che registrano
qualità e talvolta anche ingenuità,
adeguamento ai modelli,
accademismi o mode, ma spesso colpi
d’ingegno.
Sì, perchè l’ingegno
era riconosciuto anche da Vasari - come appunta il titolo
della
mostra - che scrivendo
di Properzia de’ Rossi,
unica artista donna presente nelle Vite (7) con
una biografia, ricorda ch’era
di capriccioso e destrissimo ingegno, arrivando
a considerare che Le
donne non si sono
vergognate, quasi per toglierci il vanto
della superiorità, di mettersi con le tenere e bianchissime
mani nelle cose
mecaniche e fra la ruvidezza de’ marmi
e l’asprezza del ferro, per conseguir il
desiderio loro e e riportarsene fama,
come fece ne’ nostri
dì Properzia de’ Rossi da Bologna,
giovane virtuosa, non solamente nelle cose di casa,
come
l’altre,
ma in infinite scienze che non che le donne, ma tutti gli
uomini n’ebbero
invidia (8).
Non
trascura, Vasari, di ricordare, oltre alle guerriere,
le eccellenti poetesse d’ogni tempo, le scrittrici,
le
filosofe, le astrologhe, le letterate e pittrici come
suor Plautilla monaca
et oggi priora nel monaterio
di S. Caterina da Siena in Fiorenza
in sulla
piazza di San Marco; similmente hanno atteso al disegno
et alla
pittura Madonna Lucrezia figliuola di messer Alfonso
Quistelli della Mirandola; Soffonisba Cremonese... ha
con più studio
e con miglior grazia che altra donna de tempi nostri
fatigato dietro alle cose del disegno... ma da sé
sola
ha fatto cose rarissime e bellissime di pittura...(9).
E’ evidente che la donna artista, guardata
dagli
uomini con galanteria e curiosità, č vista
come un prodigio, un'eccezione; e tale era la prospettiva
dell'universo
femminile, vincolato al territorio maschile,
agli studi di
padri, fratelli, mariti, cognati, in cui si sono mescolate
nel
tempo
e smarrite le opere, dal momento che quante raggiungevano
fama, spesso
a scapito della vita
personale, erano ed erano viste
appunto come un'eccezione.Quando poi saranno riconosciute
brave e
capaci, l’apprezzamento si tradurrā sempre
nello stupore che autrice di ‘tale portento’ potesse
essere una
donna; Dürer stesso manifesterà incredulità di
fronte alla qualità di una miniatura
realizzata da Susan Hornebout,
da lui acquistata per
un fiorino e& della
cui invenzione non veniva creduta capace una donna!
Properzia è dunque
una rarità;
la sua effigie miniaturizzata in mostra dipende dall'incisione
di Cristoforo Coriolano
per la seconda edizione delle Vite,
tradotta in pittura per la serie di 137 ritrattini di
pittori, da un ignoto artista del
'700; il suo ingegno
davvero sorprendente č documentato
dallo straordinario “nocciolo” di ciliegia
con più di
cento
testine intagliate, esempio di virtuosismo esasperato,
conservato al Museo degli Argenti (10).
Una bizzarria di
qualità nota
a Vasari e riconosciuta
come straordinaria: E perciò ch’era
di capriccioso e destrissimo ingegno, si mise
ad intagliar
noccioli di pesche, i quali sì bene e con tanta
pazienza lavorò che fu
cosa singolare e meravigliosa il vederli.
Non solamente
per la sottilità del
lavoro, ma per la sveltezza delle figurine che in quegli
faceva e per la delicatissima
maniera del compartirle.
E certamente
era un miracolo vedere in su un nocciolo così piccolo
tutta la Passione di Cristo,
fatta con bellissimo intaglio,
con una infinità di persone, oltre i crucifissori
e gli Apostoli. Questa cosa le diede animo,
dovendosi
far l’ornamento
delle tre porte della prima facciata di San Petronio,
tutta a figure di marmo, che ella per
mezzo del marito,
chiedesse
agli
Operai una parte di quel lavoro.
Se
straordinarie erano queste sporadiche artiste
ricordate
da Vasari, č altrettanto
singolare che la Collezione degli Uffizi annoveri - nella
sua sezione storica esposta
nel Corridoio Vasariano -
alcune di
quelle pittrici
che i repertori riconoscono degne di menzione tra Cinquecento
e Settecento.
Poche emergenti allora, diverse da conoscere
oggi, alcune
da riportare alla luce di una identità o
di
una fama perdute; la proporzione (sproporzione) sta
nell’evidenza
dei numeri: dei 413 autoritratti presenti
nel Corridoio
solo 21 sono di artiste. Celebri e ignote.
Nel corridore che con il suo linguaggio ascendente fa dialogare i punti
strategici del potere di un granduca ambizioso,
qual era Cosimo I, si avverte il rapporto
che corre tra i ritratti, legati dall' individualità dell'artista
e dal confronto collettivo,
che consentono letture su vario registro: indirizzo di stile, aspirazioni d’eternità conquistata, compiacimento estetico,
reverenza accademica e anche civetterie, che non sono tuttavia esclusiva prerogativa dei ritratti di donne.
Questo rapporto/confronto nel Settecento era valorizzato dall’esposizione
a quadreria in due sale della
Galleria, dove la proporzione partecipativa delle artiste
autoritratte, identificabili nei volti della
Tintoretta, Rosalba Carriera, Sofonisba Anguissola e Lavinia
Fontana ritratta dal padre Prospero, è
documentato dai disegni dell’abate De Greyss; allora al rapporto corale si univa, come ora nel
Corridoio, la scultura che ritrae il cardinale Leopoldo
de’ Medici (1617 – 1675), munifico, colto promotore
delle arti a Firenze, che riunendo i ritratti d’artista già nelle collezioni di famiglia dette
l’avvio nel 1664 alla ricerca, appassionata e competente, di effigi anche di maestri a lui
contemporanei.
Va a suo merito anche l’aver unito alla Collezione che veniva formando alcuni autoritratti di
artiste. Già forse nel 1655 un prezioso olio in scatolino di noce documenta in miniatura il volto di
Sofonisba Anguissola, dipinto alla fine degli anni cinquanta del Cinquecento, che tuttavia sarebbe
più opportuno considerare nella più generale passione collezionistica per miniature e ritrattini del
raffinato cardinale.
Poi, proprio per la nuova raccolta di Ritratti
dei pittori, un autoritratto su tela di
Lavinia Fontana verrà acquisito nel 1674 e quello della Tintoretta l’anno seguente. Col bel volto
rubizzo, l’eleganza sobria di un vezzo di perle e l’abito a piegoline, la giovane veneziana si rivela
suonatrice e cantatrice, piuttosto che pittrice; mostra una pagina musicale non d’invenzione, ma
esattamente la n. 24 del madrigale a quattro voci “Madonna per voi ardo”, che riproduce la parte
probabilmente cantata da Marietta e insieme documenta l’originale - il primo libro dei madrigali
di Philippe Verdelot nell’edizione veneziana del 1533 – ormai
frammentario.
Marco Boschini, artefice dell’acquisto di questo quadro
per 125 ducati, scrive a Leopoldo: Circa
poi al ritratto di Marieta Tintoretta questo si certo che noi lo teniamo
per vero e reale sì della sua effigie come di
sua mano, e quando anco fosse quello dice l’Altezza Vostra
che il padre li avesse dato qualche penelata, che questo noi non l’acertiamo,
ma dato che fosse questo, sarebbe stato come si suol dire qui in Venezia,
poner lo zuchero sopra la torta.
Lavinia, Sofonisba, Marietta: avevano ricevuto quell’educazione
umanistica che, rispondendo alle indicazioni del Cortegiano di
Baldassar Castiglione (1528), comprendeva la musica e l’arte
del dipingere; raccolgono nei loro dipinti - in cui l’una
prima si dichiara ‘virgo’ ritraendosi per il
futuro marito e presentandosi poi sposa colta e appassionata d’arte
in veste di nobildonna; l’altra si
mostra modesta e professionale, e la terza in veste preminente
di ‘cantatrice’ - il microcosmo
dell’universo femminile associato alle arti della musica
e della pittura, espressioni convenienti alle donne colte e agiate.
Nei loro autoritratti (talvolta l’unica opera certa identificata,
come ad oggi riferibile alla produzione della Tintoretta 11 )
sono rappresentate le virtù della modestia, della
fedeltà, del prestigio familiare, attraverso la descrizione di
vesti, gioielli, ambientazioni.
L’una (Sofonisba) raggiunse il
successo internazionale attraverso l’invito di potenti corti
europee, quali quella di Filippo II di Spagna, e l’elogio di
Van Dyck, che, ammirato estimatore la ritrasse, in un taccuino di viaggio
(Londra, British Museum), facendole visita quand’era ormai molto
vecchia. L’altra (la Tintoretta, pur dotata d’ingegno
artistico riconosciuto alle corti di Spagna e d’Austria,
non aveva potuto maturare esperienze fuori Venezia, dove il
padre l’aveva data in sposa
all’argentiere Jacopo d’Augusta, ancorando a sé un
amore possessivo e penalizzante.
Se è significativa l’apertura
culturale del cardinale Leopoldo nel cercare di acquisire anche l’autoritratto
di alcune artiste, va detto che erano veramente poche le donne nella
condizione di esprimersi con autonomia professionale.
O meglio, ve ne
erano nel sottobosco e nel chiuso di
conventi o di ambiti familiari, da cui molte attendono
ancora di essere estratte e riconosciute, con una paziente operazione
di scavo
che negli ultimi decenni – con il concorso di mostre,
tesi e ricerche archivistiche – sta offrendo i frutti di
squarci e rivelazioni.
Delle artiste ‘accreditate’,
alcune sono prolifiche, come l’Anguissola, nella produzione
di autoritratti che dovevano aver lo scopo di testimoniare sia
l’avvenenza della donna, che l’abilità
del comporre.
La presentazione di sé attraverso l’autoritratto
diveniva così anche un mezzo di
comunicazione, una perlustrazione intima di un soggetto
ben conosciuto, il proprio; insieme al volto, pochi oggetti, l’ambientazione
di uno studio che restituisce piccoli squarci di vita reale, angoli ‘da
retrovia’ in cui sono conservati – quasi mai esibiti
- gli apparati del mestiere, cavalletto e
5
pennelli (solo nel 1548 Catharina von Hemessen firmerà il proprio
autoritratto e presentandosi nell’atto di dipingere accanto
al cavalletto sarà la prima a mostrarsi in assetto professionale!).
Non disponendo in genere di modelli, le donne artiste potevano
contare su se stesse, esercitandosi ‘in
proprio’ con l’uso dello specchio, che Lavinia
Fontana dichiarerà espressamente suo mezzo
d’indagine.
Fin dai più antichi esempi, l’incontro
e la riproduzione della propria immagine avviene nel riflesso
dello specchio; così Marcia, una delle artiste
dell’antichità ricordate
ma non apprezzate dal Boccaccio nel De claris Mulieribus (1355-1359),
si ritraeva nell’atto di farsi
l’autoritratto, studiando il proprio volto riflesso
nello specchio (12)
; così Claricia, già intorno
all’anno
1200, in un Salterio tedesco da Augsburg, si era rappresentata
a sorreggere un capolettera
(13),
aprendo uno squarcio sulla vita claustrale,
che spesso rappresentava l’unica strada percorribile ‘in
libertà’, intra muros, per praticare l’arte.
In un panorama italiano ed europeo che registrava
poche emergenze di artiste affermate, alla corte
fiorentina si dava voce ad alcune di quelle
il cui nome già risuonava di apprezzamenti
internazionali e che i bravi agenti di Leopoldo
non trascuravano di proporre al cardinale, con i soggetti
più o
meno tradizionalmente consoni all’operosità artistica
femminile.
Così i Medici non
disdegnavano di avere opere di donne artiste,
collezionandone di vario genere: ritratti, fiori,
nature morte
soprattutto, ma anche qualche soggetto mitologico
o biblico, anche
se più raramente.
I nomi allora erano quelli di suor Plautilla
Nelli (1524-1588), Lavinia Fontana (1552-1614),
Fede
Galizia
(1578-1630), Artemisia Gentileschi (1593-1652),
Clara Peeters (1594-post 1657), Giovanna Garzoni
(1600-1670),
Margherita
Caffi (1650-1710), Rachel Ruysch (1664-1750),
Maddalena Corvina (1607-
1664), e altre certamente, solo da riconoscere.
Le collezioni dei musei fiorentini possono vantare
infatti un
numero e una varietà cospicue di opere
di artiste, che - a differenza della Gentileschi,
capace
di una pittura
sconfinata nel territorio ‘virile’ delle
iconografie a soggetto biblico per esempio – si
sono dedicate ai generi ritenuti più consoni
all’arte femminile,
ai soggetti d’adornamento, quali sono
le nature morte, i fiori, i ricami.
A Firenze,
dove
il collezionismo
mediceo
si esprimeva nelle forme ricercate di desiderata che si esaudivano con acquisti e scambi di doni
internazionali,
questi apporti chiamiamoli ‘di contesto
e di contorno’ di quadri che abbellivano
i saloni di palazzi e ville medicei, insieme
all’ingresso
dei primi autoritratti di donne valenti e affermate,
confermavano
l’originalità delle raccolte
di autoritratti, aperta anche a contributi di
artiste ‘forestiere’,
stimolate, durante i soggiorni in città,
al confronto con i ‘grandi’ che
già dal
1687, avevano una propria sala nella Galleria
degli Uffizi.
Gli
ingressi di autoritratti di donne artiste, che
come abbiamo osservato mostrano piuttosto la
loro
valentia come musiciste e omettono spesso
di mostrare gli strumenti del mestiere, ma non
mancano di esaltare ‘da
femmine’ l’abbigliamento o il
gioiello, continuano – con
punte di qualità –
anche con l’appassionata competenza del
Gran Principe Ferdinando, che introduce nel
1709 l’Autoritratto di Rosalba Carriera: “un’immagine
serena, che racconta della quotidianità di
un’artista ormai celebre, che verrà sempre
presa a paragone, tanto che le altre pastelliste
saranno dette “la
Rosalba toscana”, “la Rosalba
inglese”,
e così via, e nella quale i contemporanei
riconoscevano una grande modestia, talvolta
persino eccessiva.
La donna di successo ha un’espressione
da fanciulla, ma è consapevole che
questo dipinto la rappresenterà ai
posteri, e desidera che si ricordi che i suoi
trionfi li deve anche alla società con
l’amata
sorella, che parimenti merita di essere immortalata” (Badino,
cat.).
Tra i quadretti del “Gabinetto
di opere in piccolo” del
Gran Principe nella villa medicea di Poggio a
Cajano faceva bella mostra di sé anche
il “tondino” in
rame con l’autoritratto di Lavinia Fontana,
6
ambientato in un piccolo studio animato da
sculture
che rappresentando
Venere e Mercurio alludono forse all’arte
e alla femminilità esemplarmente
unite nella sua vita.
Sarà poi Cosimo
III a recuperare nel 1676 dalla Guardaroba l’autoritratto
di Arcangela Paladini, che aveva goduto della
protezione di Maria Maddalena
d’Austria, dimostrata anche nella dedica,
a seguito della morte prematura, di un monumento
funebre
nella chiesa di Santa Felicita.
Cosimo III acquisirà anche
l’autoritratto di Giovanna Fratellini,
a lungo frequentatrice della Corte granducale;
ritrattista
delle
dame di Corte, fu inviata da Violante a Venezia,
dove fu ricevuta con simpatia di
collega da Rosalba Carriera; invece un autoritratto della
ritrattista bolognese Lucia Torelli Casalini,
quando entra in Collezione
nel 1716, è creduto raffigurare Elisabetta
Sirani, la bolognese che aveva assunto a bottega
presso di sé altre
giovani donne e forse per questa sua ‘liberalità’ e
la prolifica produzione venne assassinata da
rivali invidiosi.
I ‘cambiamenti d’identità’ non sono
rari nella Collezione degli autoritratti. L’ingresso di
opere che nonostante le ‘precauzioni’ nel richiedere
il giudizio di artisti si riveleranno nel tempo ‘solo
ritratti’
o di ‘altra mano’, nasceva dall’intento
di confermare l’originalità e il primato
della Collezione, così
favorendo l’ingresso anche di qualche attribuzione
che non ha poi retto ai confronti.
La Collezione intanto
cresceva grazie
alla classificazione
ragionata di Filippo Baldinucci, che
suggeriva nuovi acquisti mirati (1681), e ai soggiorni
all’estero
di Cosimo III, che amava visitare gli studi d’artista,
commissionando e acquistando, fino a portare la Collezione
alla
soglia dei 163 autoritratti.
Così che, trasferiti da Pitti agli Uffizi,
già nel
1687 erano quasi tutti esposti nella nuova sala di ponente,
divisi per scuola, con velluto rosso alle pareti e il perduto
soffitto
affrescato
(1697)
da Pietro Dandini raffigurante una allegorica celebrazione
della Toscana.
Nel 1759 nella guida ufficiale realizzata
da Giuseppe Bianchi,
custode della Galleria, la visita cominciava proprio
dalla
“ Camera dei Pittori” con 223 opere.
Avanzano anche le professioniste,
riconosciute da un contesto internazionale, che permette loro di operare, anche
se a scapito
talvolta,
come accaduto a Giulia Lama, di sfere private sacrificate o
attirandosi giudizi del tipo: brava ma bruttina,
non risparmiata
da sagaci commenti: è vero che essa
ha tanta bruttezza quanto spirito, ma parla con
grazia e finezza, così le
si perdona facilmente il suo viso. E lei nel ritrarsi,
non dimentica di associare ai pennelli il tocco civettuolo di
un bracciale
di perle.
Nel corso del Settecento, accolte nelle Accademie
(14), spinte dallo spirito più liberale che incoraggia
gl’intelletti vivaci, altri autoritratti di artiste professioniste
entrano agli Uffizi.
I nomi del momento, Violante Siries Cerroti,
Maddalena Baldacci Gozzi, Anna Piattoli che arrivano con l’acquisto
della Collezione Pazzi nel 1768, rappresentano lo spirito vivace
che animava anche la Corte lorenese, la
loro abilità di miniaturiste, ritrattiste, capaci d’insegnare
e la loro assidua frequentazione delle Gallerie di qua e di là d’Arno,
per trarre copie dalle opere dei ‘grandi maestri’.
Nei loro autoritratti
compaiono le insegne della professione, matitatoi, cartelle di disegni,
cavalletti, pennelli, e ritratti
in corso d’opera dedicati a figli o mariti, ma anche cammei e ornamenti
femminei di gioielli.
Alcune legate alla nobiltà internazionale (Maria Antonia di
Sassonia e Chiara Spinelli di Belmonte), offriranno la loro effigie in
omaggio alla frequentazione della Corte lorenese.
L’autoritratto di Anne Damer Seymour, donato dall’artista
stessa nel 1778, incoraggiata dal cugino - suo grande estimatore – Horace
Walpole è una presentazione idealizzata della scultrice
inglese (15).
Venti anni prima la stessa Kauffmann, agli Uffizi con
due autoritratti di momenti ed espressioni diverse, aveva avuto l’onore
di essere inclusa tra i membri fondatori della prestigiosa Royal Academy
londinese e di essere ritratta da Zoffany, insieme a Mary Moser e ai
colleghi accademici
ma purtroppo solo come icona ‘appesa in parete’,
piuttosto che come artista partecipe di una collettività.
Così anche
una donna di talento come Angelica veniva accolta, ma tenuta
a distanza; eppure una carriera fortunata
l’aveva
portata prima in Inghilterra, poi a Venezia e a Roma, dove
alla sua morte lo stesso Canova le aveva dato l’ultimo
tributo con una cerimonia funebre rievocativa di quella celebre
di Raffaello.
©www.zoomedia.it vanna innocenti 16 dicembre
2011
"Autoritratte - Artiste
di capriccioso e destrissimo ingegno". Piccolo fortepiano di utilità
domestica in palissandro, avorio, legni vari e porcellana della fine del XVIII
secolo; manifattura viennese conservata negli Appartamenti della Galleria
Palatina in Palazzo Pitti.
Un mobile (16) straordinario
(vedi l'immagine), capace di sorprese ‘a
scomparsa’ realizzato da manifatture viennesi
alla fine del Settecento, attraverso lo schiudersi
di diversi scompartimenti – aperti
per l’occasione –
mostra tutta la filosofia delle occupazioni femminili:
un nettapenne ricamato, boccette di cristallo per profumi,
candelierini, forbicine, un servizio di porcellana con
tazzine, un fermacarte
con
manine di bronzo, una tavolozza con reggipennelli
e spatola in avorio e moltissimi altri oggetti miniaturizzati,
che si accompagnano
all’intrattenimento musicale col piccolo fortepiano.
In questo contesto culturale, con il secolo che volge
alla fine
e sempre più frequenti intrecci
internazionali, si colloca anche l’autoritratto
di Maria Hadfield Cosway, che giungerà agli
Uffizi dall’Accademia di Belle Arti solo nel 1853
(17) ,
per cadere presto nel limbo dei ritratti di ignote.
Maria Hadfield nasce nel 1760 a Firenze, dove i genitori
avevano
un albergo nel
quartiere di Santo
Spirito, aperto per soddisfare i turisti anglosassoni,
che nel Settecento già numerosi visitavano la
Toscana.
Dotata per la musica e la pittura, viene
istruita al disegno da Violante Siries Cerroti (18).
E’ la più giovane accademica, eletta - appena
diciottenne - il 27 settembre 1778.
Frequenta Pitti e gli
Uffizi, copiando
i grandi maestri, tanto appassionata da protestare con
il direttore Giuseppe Pelli,
perché costretta a uscire dalla galleria durante
le ore del pranzo.
Nel 1781 sposa Richard Cosway, primarius
pictor del principe del Galles,
il cui bell’autoritratto
a carboncino acquerellato, fu donato da Maria agli Uffizi
nel 1824.
Invece
un suo autoritratto ‘fiorentino’ documentato
e mai rintracciato, ho potuto riconoscerlo in un ritratto
d’ignoto
autore, nell’occasione delle ricerche che
due anni fa la Fondazione Cosway di Lodi
(19) stava svolgendo nei nostri archivi di Soprintendenza.
Dopo
il restauro (20) il bel volto di Maria, con l’alta
acconciatura e il turbante che la caratterizza in altri
ritratti, appare nella
freschezza della gioventù e nello stile della
Kauffmann, che l’aveva
incoraggiata e influenzata; ha l’eleganza aristocratica
di una donna che poi si divide tra Firenze e l’Inghiterra,
tiene un salotto e riferisce nei suoi diari delle relazioni
e amicizie con Zoffany, Wright of Derby, Reynolds, Benjamin
West, Romney
e Thomas Jefferson.
Ma la ricerca d’archivio ha prodotto altre scoperte.
Nel testamento steso
nel 1829 la Cosway legava alla Galleria degli Uffizi due medaglie
(21) del 1797 con
il ritratto suo e del marito, ora al Museo del Bargello; una preziosa
scatola in pietre dure (22)
che l’Elettore di Sassonia Federigo Augusto III aveva
regalato al Generale Paoli (23) e
da questi donata a Maria nel 1789,
ora al Museo degli Argenti.
Non è tuttavia raro che a seguito di
movimentazioni, passaggi inventariali, o per ragioni di gusto e di stile,
un autore ‘perda
il nome’.
E’ accaduto anche ad alcune artiste
nella Collezione, che si rappresentano come pittrici, con gli strumenti
del mestiere, o lo
sguardo catturato nello specchio
fa riconoscere come autoritratte.
Due di esse in mostra,
rivelano nelle vesti eleganti e nell’atteggiarsi aulico
l’appartenenza
ad un ambito sociale elevato, ma niente altro, al momento, è
stato possibile ricostruire.
Un’altra, sul cui retro è significativamente
scritto da battezzarsi, entrata in Collezione come autoritratto
di una inesistente Rosalba Fratellini, è oggi considerata
solo un ritratto muliebre.
Un autoritratto creduto di Teresa Arizzara,
si è invece
rivelato - per l’identità non
sostenibile dal raffronto fisiognomico e di stile con un
altro suo autoritratto - per mia convinzione, effigie di Irene
Duclos Parenti,
ritrattasi nell’occasione di una delle sue frequentazioni
della Galleria, dove copiava sculture e dipinti.
A queste si associano
altre opere,
non presenti in mostra,
ritenute in passato autoritratti di pittrici (Chiara Varotari
poi riconosciuta Allegoria della pittura di Giovanni Martinelli;
Violante Beatrice
Siries Cerroti rivelatosi un Ritratto di donna; Lavinia Fontana,
riconosciuto anch’esso un Ritratto di donna, a cui
erano stati aggiunti in qualche momento tavolozza e pennelli;
tutte
pagine di una lunga
storia di acquisizioni e agnizioni.
Se l’arte infatti ha potere di vincere la morte,
il trascorrere del tempo dimostra di avere facoltà di
esaltare, sbiadire e celare, fino a far cadere nell’anonimato
autori noti e apprezzati.
Quando il processo di riconoscimento
si inceppa l’opera si carica di mistero; allora
lo studio si orienta sui segni del visibile: un gesto, uno sguardo,
un dettaglio
di costume
si fanno interpretare.
Strumenti
della ricerca saranno i dettagli iconografici che l’opera
lascia passare, mentre l’aggancio con la
storia sarà legato alle investigazioni d’archivio
e a quelle coloratissime registrazioni di numeri dipinti di nero,
rosso, rosa,
verde, giallo, che segnano l’opera di una vita in movimento
di luoghi e di proprietà.
A Elisabeth Vigée Le Brun, che già aveva
avuto il privilegio di partecipare ai Salons e di sperimentare
il soggetto
storico,
nel 1790 l’autoritratto viene chiesto espressamente
dal direttore Pelli Bencivenni mentre visita Firenze, in fuga
da Parigi
con la figlia,
diretta a Roma, dove, l’anno
seguente, ospite d’onore presso l’Accademia di
Francia, dipinse l’opera per gli Uffizi, che incontrò
un favore di cui lei stessa rimase stupita, ma che ne
confermò il
talento; era un ritratto sorprendente di cui molto si parlava,
e da cui avrebbe ricevuto il soprannome di Mme Vandick e
Mme Rubens, insieme al plauso dell’Accademia di San
Luca.
Il 26 agosto 1791 il Granduca di Toscana Ferdinando III, ricevuto
l’autoritratto,
non lo sottopose al giudizio dei professori della Reale Accademia di Belle
Arti, come di consueto.
Giudicato dal Pelli “un capolavoro dell’arte”,
fu annotato“…dipinto alla Van Dyck, e con
una intelligenza singolare onde pare uscito dal pennello di un
uomo di sommo merito, più che
da quello di una femmina”.
La celebrità di
Elisabeth Vigée Le Brun
(24) è ricordata
in mostra da due opere, in associazione simbolica al suo autoritratto:
un piattino (25) ,
copiato probabilmente dalla traduzione a stampa
dell’originale degli Uffizi, dipinto da un pittore
miniaturista della manifattura Ginori sotto l’influenza
del francese Abraham Constantin, copista ‘in piccolo’ di
molti capolavori degli Uffizi e che lavorò anche
per i napoleonidi a Firenze (Comunicazione di Maria Pia M.P.Mannini);
e un interno dello studio
dell’artista
Carl Glotz (26) a
Firenze, un’immagine senza tempo di
un archetipo della memoria con i suoi simboli e le copie degli
Uffizi,
comprende, intorno
all’anno 1845, anche la copia dell’autoritratto
della Vigée Le Brun.
Nel corso dell’Ottocento gli ingressi di autoritratte,
a fronte di molti autori soprattutto francesi e inglesi acquisiti,
sono piuttosto
rari: quello di Marianna Waldstein viene mandato dalla Reggente
Maria Luisa al direttore Tommaso Puccini; nel 1846 quello di
Ida Botti Scifoni viene donato dall’allieva dell’artista
Matilde Bonaparte Demidov; due anni dopo quello di Elisa, figlia
dell’artista
ginevrino Salomon-Guillaume Counis (Ginevra 1785 – Firenze
1859), che a Firenze era nata e portava nel nome l’evidente
omaggio a Elisa Baciocchi, di cui nell’autoritratto espone
in cameo un ritratto, esibendo le virtù accademiche
e insieme poetiche note di richiamo alla moda e alla Corte
di Elisa.
Alla sobrietà dell’abito
fa riscontro la soluzione classica di ritrarsi con gli strumenti
del mestiere, senza trascurare di far risaltare, come fosse
uno smalto, la luminosità del
bell’incarnato. E’ tuttavia l’unico
ritratto dell’artista
rintracciato, da cui possa esser valutato quel talento
rimpianto dal padre.
Louisa Grace Bartolini, a cui Giosuè Carducci
dedica un’ode
e scriverà la prefazione delle poesie
pubblicate postume (27), si ritrae in un dipinto
interessante per la mescolanza di purismo e di realismo
negli anni cruciali
dell’inizio
della rivoluzione macchiaiola, che Louise conobbe da vicino
per le amicizie con alcuni che frequentavano quel giro
di artisti:
Rapisardi, Puccinelli,
Lanfredini,
Ciaranfi regolarmente le fornivano disegni da copiare.
(Badino,
cat.)
Le fotografie che la ritraggono, anche con il marito
Francesco, introducono
al nuovo medium meccanico, evocato in
mostra da un bell’apparecchio (28) fotografico,
che subito ottiene successo, e stravolge il modo di
‘ fare pittura’, dove il virtuosismo accademico viene messo
in crisi dalle potenzialità di un mezzo
che rende visibile anche ciò che l’occhio
non percepisce.
E’ interessante conoscerne anche
il riscontro sociale se il valore di un ritratto dagherrotipo
era subordinato solo a quello di un ritratto ad olio;
sconcertante semmai sapere
che al primogenito maschio venivano lasciati i ritratti
ad olio
dei rappresentanti della famiglia della quale avrebbe
continuato il nome,
mentre i ritratti dagherrotipi erano lasciati alla linea
femminile (29).
A cavallo tra ‘800 e ‘900 appare anche negli autoritratti
che confluiscono nella Collezione (di autrici come Thérese
Schwartze Van Duyl, Elza Ransonnet Villez, Marie Collart Henrotin,
Rosa Bonheur) lo
studio attraverso il mezzo fotografico e un nuovo rapporto dell’artista
con la propria immagine, che diviene più comunicativa,
disinvolta, personalizzata, con una pittura via via più franta,
con
pose da equivalenza fotografica, appunto, con partecipazione
emozionale e un desiderio d’espressione originale; quanto
comunica la Schwartze, che nel 1888 presenta al Salon l'autoritratto
poi giunto agli Uffizi nel 1895, dove indossa un abito da lavoro,
con la mano alzata in atto di
schermare la luce, citazione colta dall'autoritratto di
Reynolds, celebrazione indiretta dell'appartenenza alla vera
aristocrazia e dell'importanza
del suo ruolo d'artista. (Condemi, cat.)
Negli anni a seguire gli ingressi sono alquanto scarsi
e ad eccezione degli autoritratti di Elisabeth Chaplin, di
chiara modernità, in
generale non significativamente interessanti.
Un momento importante
per la Collezione di autoritratti è legato all’anno
1981, quando, in occasione del quarto centenario della fondazione
degli Uffizi,
il direttore Luciano Berti volle
segnare la ricorrenza con la richiesta ad artisti italiani
e internazionali di un autoritratto.
I nuovi arrivi raggiunsero
un numero davvero ragguardevole,
superando le duecentotrenta opere, ma
appena otto artiste fecero il loro ingresso agli Uffizi.
Tra le più originali Marie Bergenstahl Ekman,
di una sintesi disarmante, con quel suo ‘curiosare’ olfattivo
in un mondo pieno di oscurità;
Adriana Pincherle e Hélène De Beauvoir, che,
oltre ad aver lasciato nell’autoritratto il segno
cromatico squillante e percettivo della loro partecipazione
ad aggiornati
linguaggi internazionali, sono espressione anche nella vivacità di
circoli intellettuali di cui facevano parte.
Alla fine del 2005,
l’ingresso
della Collezione di Raimondo Rezzonico agli Uffizi, con circa
trecento autoritratti di artisti del Novecento, ha aggiornato
anche la rappresentanza di artiste
con sedici
opere, tra dipinti, disegni e grafiche.
Tra le scelte
del collezionista svizzero in particolare si distingue l’autoritratto
di Merret Oppenheim, pittrice, fotografa e scultrice, introdotta
da Giacometti e Arp nel circolo
degli artisti surrealisti, che indaga la corporeità fino
a far assumere al volto una sacrale compostezza, che chiama a
sè tradizione
e storia, con il potere metaforico, forse, di nobilitare, con
i tatuaggi, anche le rughe.
Kathe Kollwitz, che nel 1919 - prima
donna – si
era guadagnata l’accesso all’Accademia
Prussiana, si vedrà destituita
dall’incarico nel 1932,
raccogliendo insieme grandi riconoscimenti e forti umiliazioni,
che sublima in impegno di vita e in segni grafici che
comunicano profonda commozione.
Tra le italiane spicca l’autoritratto di Carol
Rama, vincitrice nel 2003 del Leone d’oro alla
carriera in occasione della cinquantesima Biennale di
Venezia, dove
era già stata
presente nel 1948, nel 1950 e nel 1993.
Tutte espressioni figurative
alternative, documentano il lavoro di artiste forti e innovative
che hanno lasciato un segno, hanno aperto strade nuove,
attraverso sperimentazioni, impegni e sacrifici personali.
E’una
lunga teoria di volti e personalità che dal Cinquecento
al Novecento raccontano storie di rinunce e conquiste,
componendo una miscellanea
di tipologie, che mettono in luce notorietà, qualità,
moda, originalità, il mistero delle ignote.
Per guardare oltre, al futuro della Collezione,
si è voluto
sottolineare in modo sostanziale l’impegno delle
donne artiste dei tempi a noi più vicini, con
l’invito
a donare un autoritratto.
La risposta è stata
generosa e variata l’espressione,
attraverso quei media, dall’olio, alla fotografia,
al collage, all’arazzo, al video, alla scultura
che si fanno strumenti della varietas creativa.
Non
sono mancate defezioni e delusioni,
spesso indotte da leggi di mercato, da un fare arte, vinto
dalle regole del commercio e del denaro, che tiene sempre
meno
conto
del valore della cultura e della funzione educatrice
del museo.
Il percorso, la selezione è stata
complessa, sostenuta insieme a me da Rendel Simonti
e poi dai consigli preziosi
di Maria Grazia Messina.
Rimane ora da lavorare al progetto in cui crediamo e
c’impegnamo,
che prevede – secondo gli
intendimenti della Direzione attuale - di estendere
l’esposizione
della Collezione all’interno del
Corridoio Vasariano quando le opere ora nel tratto
del Lungarno Archibusieri migreranno verso nuove sale.
Sarà a
quel momento possibile esporre molte più autoritratte,
perché è nel
confronto, nel dialogo che risulta la forza dell’evidenza,
che si sviluppa la visione degli orientamenti culturali,
a cui anche le donne
artiste hanno dato il loro contributo.
NOTE:
1 - Curatrice della mostra "Autoritratte.
Artiste di capriccioso e destrissimo ingegno."
2 - B. Viallet, Gli Autoritratti Femminili delle Gallerie degli
Uffizi in Firenze,
Roma s.d. (1923). Viallet è anche autrice di: La politica nella moda
del ’59,
Milano 1909 (estratto, pp.547-551);
Salvador Sanchez Barbudo, Roma 1916; Il romanzo femminile francese
contemporaneo,
Milano 1925.
3 - Dall’indice del volume: A. D’Affry, S. Anguissola,
T. Arizzara, A. Bacherini Piattoli, M. Benwell, I. Botti Scifoni,
R. Carriera, L. Casalini Torelli, M. Collart-Henrotin, E. Counis,
A.I. Duclos Parenti, L. Fontana, G. Fratellini, M.M. Gozzi
Baldacci, M. Hakewille, A. Kauffmann, G. Lama, Maria Antonietta
Elettrice di Baviera, E. Nemes, A. Paladini, S. De Ribbing, M.
Robusti, T.
Schwartze, E.
Sirani, V.B. Siries, C. Spinelli di Belmonte, C. Varotari, L.E. Vigée
le Brun, M.
Di Waldstein.
4 - Op. cit, p. 7
5 - Op. cit, pp. 8-9
6 - Op. cit. p. 12
7 - Nella edizione del 1550 Vasari, seguendo la tradizione di Plinio
(Historia Naturalis) ricordava i nomi di artiste greche dell’antichità:
le pittrici Timarete, Aristarete e Olimpia; ricorda anche Iaia di
Kyzicos, famosa per i suoi ritratti di donne.
8 - Vasari, Vite de' più eccellenti pittori, scultori
e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura di P.Barocchi
e R.Bettarini, Firenze, 1966-1987, vol. IV pag. 401
9 - Vasari, cit.
10 - Properzia de’ Rossi, Nocciolo di ciliegia inciso
con cento testine e cornice di smalti, oro, perle, diamanti,
1530 circa;
cm 4,2x2,3. Firenze, Museo degli Argenti, palazzo Pitti.
11 - Un Ritratto di vecchio con ragazzo attribuito alla
Tintoretta è a
Vienna, Kunsthitorish Museum.
12 - Livre des femmes nobles et renommées di
Giovanni Boccaccio, Parigi, Bibliothèque Nationale, Ms Fr.598,
c.100 v.
13 - Walters Art Gallery, Baltimora.
14 - Si da qui di seguito un
riscontro dei nomi e dell’anno di
elezione delle Accademiche del Disegno, tra le quali figurano
nomi totalmente sconosciuti: Giovanna Fratellini (1710); Agnese
Dolci Baci (1710); Maria Maddalena Gozzi (1732); Violante Siries
(1733);
Giovanna Messini (1736); Violante Ferroni (1736); Anna Becherini
(1739); Violante Vanni (1759); Angelica Catharina Maria Anna
Kaufmann
(1762); Anna Galeotti (1762); Marguerite Brunet (1764); Angiola
Rossi (1765); Teresa Arizzara (1766);Maria Hadfield (1778); Anna
Borghigiani
(1779); Assunta Bocchi (1781); Irene Duclos nei Parenti (1783);
Chiara Spinelli (1783); Felice Getrude Della Santa (1785); Jemma
Grrenland
(1787); Anna Tonelli Nistri (1788); Vittoria Speranza (1791);
Pauline Chatillon Gauffier (1794); Giulia Rivani Paillot (1797);
Costantina
Coltellini (1789); Artemisia Castellini Regny (1818);Teresa
Benincampo (1820); Matilde Malenchini (1821); Claudia Valeri (1822);
Clelia
Valeri (1822); Lady Priscilla Burgherst (1829); Elisa Formigli
(1845); Amalia Duprè (1869); Anna Fries (1869); Jane benham
Hay (1869);Elisabeth Thompson (1875); Rebeca de Iniguez matte (1917);
Marina Battigelli
(1952); Fillide Levasti Giorgi (1952); Isa Petrozzani (1956);
Zena Checchi Fettucciari (1956); Anna Bonetti (1956); Elisa taffiorelli
Bottero (1956); Dolores sella (1967);Mari Silester Andriessen
(1978);
Luise Nevelson (1985); Imelde Siviero (1989/90); Adriana Pincherle
(1991); Amalia Ciardi Duprè (1996); Fréreau Bissarra
(1996).
15 - Rimase l’unica scultura nella Collezione fino
al 1912, anno in cui il direttore Ricci decretò l’ingresso
anche di alcune ‘teste’ d’artisti.
16 - Inv.
M,.P.P. 1911 n. 10691, Galleria Palatina, Appartamenti,
palazzo Pitti.
17 - (BdU, Inv. 1825, Supplemento n. 2822
18 - Di Violante Siries Cerroti agli Uffizi figurano
due autoritratti: Inv. 1890 n. 2021 – 1750.
19
- Devo alla dottoressa Monja Faraoni, che con il professor
Tino Gipponi, ha a lungo studiato Richard e Maria Cosway,
lo spunto
dell’identificazione.
20 - Realizzato in modo magistrale
e con la consueta generosità da
Rita Alzeni come quello degli autoritratti di: Anguissola,
De Rossi, Hoffmann, Bonheur, Counis, le due ignote artiste,
Cosway, Duclos
Parenti, Arizzara; e una manutenzione di molte altre.
21 - Museo Nazionale del Bargello, Inv. Medaglie nn.10408 – 10409.
Bronzo dorato, mm.116; mm. 122
22 - C.G.Stiehl, Dresda,
1774 circa; pietre dure di Sassonia e oro, h cm 4,1; diam. cm 8,3;
Inv. Gemme 1921 n. 890
23 - Maria dona anche il Ritratto del Generale
Pasquale Paoli,23 da lei realizzato, ora alla Galleria Palatina
(Inv. 1890
n. 577).
24 - Anche la notorietà raggiunta dalla
Kauffmann viene evocata da una ceramica che riproduce
il volto di Angelica dall’autoritratto
aulico degli Uffizi; prodotto della manifattura Florentia
Ars di Firenze, operante tra la fine del XIX
e il 1924, anno in cui venne assorbita dalle Fornaci
San Lorenzo dei Chini.
25 - Manifattura Ginori,
fine secolo XIX; porcellana, diam. cm 10; sul verso,
scritta a penna:” Magazzino Viennese di Firenze.
Le Brun”. Il piatto faceva parte di una serie
di ritratti femminili prodotti dalla Ginori per il
Magazzino Viennese di Firenze (detto
anche Grande Emporio Duilio 48) che venivano incorniciati
come quadri e che costavano solo 48 centesimi. L'ideatore
di questa fortunata
impresa commerciale della formula "tutto a 48
centesimi" fu
Giuseppe Siebzehner (Vienna 1863 -1944), già attivo
nel commercio a Vienna a fine '800, che rilevò l'attività commerciale
denominata "Grande Emporio Duilio", fondata
a Firenze nel 1888 dai fratelli Papalini, che a loro
volta avevano rilevato il
rinomato "Bazar Bonajuti", fondato nel
1834.Un’altra
filiale di questo Emporio si trovava nei due centri
di villeggiatura di Viareggio e Montecatini (Comunicazione
di Maria Pia Mannini).
26 - Il pittore Biedermeier Carl
Glotz (prima metà del
secolo XIX), di origine viennese, è probabile
fosse imparentato con Gustave Glotz (1862-1935),
importante archeologo e storico della
Grecia antica. Il dipinto, di grande suggestione
per la luce e la spazialità dell’interno,
ha un fascino moderno ed evocativo che ricorda per
l’atmosfera intimista lo studio della casa
bolognese di Giorgio Morandi , colto nella fotografia
contemporanea di Gianni Berengo Gardin. (Comunicazione
di Maria Pia Mannini)
27
- Tutti i documenti e le opere di Louisa Grace Bartolini
sono custoditi in un armadio fatto realizzare dal
marito Francesco,
conservato presso
la Biblioteca Marucelliana di Firenze.
28 - Apparecchio fotografico (W.A.) in legno, 24x30, fine XIX -
inizi XX secolo. Gabinetto Fotografico della Soprintendenza per il
Polo Museale Fiorentino. E' stato restaurato nel 2010 da Marco Marchi.
29 - A.Rapisardi, Galleria
d’arte moderna di Palazzo Pitti. Il
ritratto nella cultura ottocentesca. Percorsi paralleli
tra Italia e Europa, Sezione Didattica, 21, Firenze
2009, p.83. "
Il saggio di "Autoritratte
tra ombre e luci" saggio di Giovanna Giusti è pubblicato
nel catalogo della mostra nelle edizioni Polistampa.