Giovanni Paszkowski
LE FORME DELLA MEMORIA
Testo critico "In forma di città"
di Carlo Sisi
"Lo stile di Giovanni Paszkowski manifesta oggi una sintesi di forma e
colore che subordina con maggiore convinzione le evidenze del racconto
all’autonomia
poetica delle forme: più astratte, queste ultime, rispetto alle
visioni atmosferiche e serenamente introspettive già viste in precedenti
esposizioni; più netto il colore, steso a campiture nitide e compatte
così da aggirare ogni possibile coinvolgimento con la caducità dell’esistere
quotidiano.
I piani della composizione, di solito graduati tra terra
e cielo con il rigore di un occhio prospettico capace di selezionare quanto
basta per attribuire coerenza alla visione, si dispongono in maniera
quasi
teorematica, ora offrendosi in primo piano come barriere concettuali
da sciogliere con esercizi di ragione, ora stagliandosi in scorci abbrevianti
che lasciano campo allo spazio circostante che è d’aria
ma, insieme, di materia solidamente pensata.
L’acrilico è,
d’altra parte, mezzo rapido per fermare
sulla tela questi diversi livelli compositivi e Paszkowski lo impiega
con la sicurezza che gli deriva da un ricco laboratorio di memoria
visiva alimentata
dalla personale esperienza dei viaggi, dalla fotografia, dai libri,
che agiscono tutti nella mente come frasi sparse di un discorso da
ricomporre
in pagine organiche e coerenti, come forme disarticolate nella loro
varietà ma
ricche di potenziale espressivo se riunite – come sono – in
un efficace dialogo di superfici. Un procedimento, si può dire,
in special modo mentale che contribuisce appunto ad evitare ogni possibile
naturalismo in favore di una sintesi formale capace di conferire al
quadro autonomia espressiva, ed anche la qualità di un testo
figurativo i cui strati sono in grado di alimentare pensieri sulla
storia e sul
tempo presente. Pareti bianche appena segnate da una striscia d’ombra,
piani architettonici assemblati come planimetrie cromatiche, blocchi
di acceso colore segnati da una forte evidenza oggettuale, sollecitano
infatti
alcune considerazioni sulla continuità del pensiero estetico,
sul costante riemergere, nel tempo, di temi e forme che ogni “contemporaneità” ha
adeguato al proprio contesto culturale e spirituale.
Si può pensare
innanzitutto alla vena metafisica che trascorre dalle piazze dechirichiane
ai silenti interni di Hopper, che Paszkowski ha qualche
volta trasposto in più accostanti occasioni di affinità elettive;
all’icastica indagine di certa fotografia americana da accompagnarsi
con l’epifania pop dell’oggetto celebrato nella sua nuda
evidenza, cui molto devono i suoi recenti quadri affidati alla dinamica
della segnaletica
stradale o alla freccia perentoria di un motel illuminato a contrasto
delle luci di un tramonto; o ancora all’ordine razionale imposto
dalle poetiche dell’astrattismo che, soprattutto all’origine,
aveva inteso proiettare sulla realtà e sugli ambiti quotidiani
il rigore di uno stile depurato da ogni contingenza e da ogni compromesso
con le
ridondanze e il pittoresco per giungere all’essenziale traduzione
della realtà.
Si vuol dire che i “frammenti” urbani
di Paszkowski, affidati come sono alla ricomposizione di parti
selezionate dal laboratorio della
memoria, mantengono anche la traccia di quella precedente storia
di forme e proprio nella ribalta riservata all’immagine di
architetture è da
leggersi, mi sembra, la rinnovata istanza di educare lo spettatore
a percepire la realtà secondo schemi puramente plastici
e razionalmente dimostrabili, divenendo lo spazio immagine stessa
della
coscienza razionale. Come in
un’antica tavola prospettica, il passante chiuso nei suoi
pensieri o in transito verso una meta quotidiana diviene così misura
e perno di un universo ordinato e percepibile quale sistema logico;
mentre la sintesi
delle forme, sottolineata da campiture di colore equilibrate nei
toni e fra loro armoniche, si dichiara struttura portante di quel
mondo nuovo
e preservato dall’usura delle convenzioni, e invece destinato
a rappresentare il modulo su cui basare la rinnovata visione della
realtà come maestra
e suggeritrice di essenziali bellezze.
La geometria coordina infatti
tutte le componenti del quadro sino a sezionarne la superficie
in fasce parallele o in angoli acuti,
dove
le architetture
divengono solide quinte spaziali antiche e moderne a un tempo:
la continuità di
cui si diceva è dunque norma della rappresentazione così come
era avvenuto per le utopie positive che governarono, in tempi di
distruzioni e di sciagure, la ricostruzione di città – e
Firenze in special modo – prima che una dissennata foga edilizia
interrompesse ogni possibile dialogo e coltivata riflessione. Penso,
per fare un esempio,
alle città ideali di Leonardo Savioli intuite nella loro
unità come
paesaggio urbano, ipotesi plastiche ricavate dalla meditazione
sulla storia poi filtrata dalle scoperte dell’architettura
moderna, ma con introversioni e finezze tecniche tali da rendere
l’operazione una sorta di esperienza
autobiografica.
Nei quadri di Paszkowski la modernità ha,
si è detto,
una caratura più internazionale ma la matrice memoriale
vi funziona comunque da collettore intimo, egualmente fiducioso
nella possibile ricongiunzione
figurativa di passato e presente verso una ricostruzione oggettiva
e rasserenante della nostra scena biografica, in grado appunto
di collegare le visioni
pierfrancescane alle volumetrie complesse dell’architettura
contemporanea.
Del resto, un tema caro e più volte analizzato
da chi ha seguito il lavoro di Paszkowski, è lo spazio
del museo e, in esso, la figura del visitatore impegnato nella
lettura dell’opera: il più delle
volte una scultura, quasi a rimarcare la vocazione plastica dell’artista
che all’interno di “camere magiche” assolutamente
complementari alle volumetrie esterne degli edifici colloca figure
in meditazione di
fronte alle opere del passato e del presente; non gli abitanti
in movimento che misurano lo spazio vitale ma gli stessi che,
immobili, esprimono il
desiderio di conoscere connotando in questo modo l’altra
dimensione dell’umana esperienza e quindi la valenza eminentemente
spirituale di uno spazio che da funzionale diventa simbolico.
La memoria, in questo
caso, riassembla stanze di museo in cui il giocoliere di Marino
Marini, l’idolo etrusco, la scultura di Picasso, il dipinto
informale, tracciano un percorso di affezione montato su un set
di piani ancora una volta subordinato
agli statuti della ragione, anche se l’occhio di luce sul
soffitto nero fa pensare a singolari atmosfere notturne, ad una
luna elettrica in
bilico sull’universo recuperato delle forme.
Firenze, 8 dicembre 2008
"Giovanni Paszkowski.
Le forme della memoria”
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Giovanni Paszkowski L'ora sospesa
21 settembre - 11 novembre 2006
Museo Marino Marini, piazza San Pancrazio 1, Firenze
Presentazione di Carlo Sisi - L'ora
sospesa di Antonio Natali
Senza calma né ansia di Federica Chezzi
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Arte: eventi in programma e in
corso
Arte: mostre concluse