Mostre nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti
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Pregio
e bellezza. Cammei e intagli dei
Medici
Museo degli Argenti, Palazzo Pitti, Firenze fino al 27 giugno 2010
Presentazione di Ornella Casazza Direttrice
della mostra e del Museo degli Argenti Orari della mostra:
lunedì–domenica
8.15 – 17.30 nel mese di marzo
8.15 –18.30 nei mesi di aprile, maggio
8.15 – 18.50 nel mese di giugno
Chiusura: ogni primo e ultimo lunedì del mese
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Pregio e bellezza
Cammei e intagli dei Medici
Presentazione di Ornella Casazza Direttrice della mostra e del Museo degli Argenti
"Il
Museo degli Argenti dal 1921 custodisce una parte consistente della ricca collezione
di gemme della
famiglia Medici, che insieme ad altre preziose rarità costituisce il tesoro
granducale.
Questo nucleo,
eccezionale per numero e qualità degli esemplari in esso riuniti, rappresenta
in realtà solo un settore della
originaria collezione medicea di cammei e intagli, oggi divisa tra Palazzo
Pitti, il Museo Archeologico
Nazionale di Firenze e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, città nella
quale giunsero, in seguito a
complesse vicende dinastiche, gli esemplari più prestigiosi appartenuti
a Cosimo, Piero e Lorenzo de’
Medici.
Partendo dai fondamentali contributi editi in occasione
della esposizione “Il
Tesoro di Lorenzo il
Magnifico”, la mostra “Pregio e Bellezza. Cammei e intagli dei
Medici” intende
riportare all’attenzione del
grande pubblico la complessa storia della raccolta fiorentina, restituendo
alla moderna sensibilità del
visitatore anche l’importanza che le pietre incise rivestirono in passato
per gli artisti, con un percorso reso
inedito dai generosi prestiti dei musei italiani e stranieri che hanno dimostrato
di assentire al progetto
scientifico della manifestazione.
Sviluppatosi nel raffinato clima culturale del primo
Rinascimento, il collezionismo di gemme costituì uno
degli aspetti più affascinanti del processo di riscoperta dell’antico
che caratterizzò il XV secolo. Proprio e
anche perché, come scriveva il Vasari, “Le pietre
dure son materia che vi si intaglia drento ogni sorta di
lavoro, e per quelle si conserva più l’antichità e
le memorie, che in altra materia, come s’ è visto ne’ porfidi
e ne’ diaspri, e ne’ cammei, e nelle altre sorte di pietre
durissime, le quali, quando sono alle ripe del mare o
nelli solinghi scogli, reggono a tutte le percosse dell’acque, de’ venti,
e degli altri accidenti della fortuna e
del tempo; che tale si potrebbe dire del duca nostro, che, per cosa che
segua avversa nelle sua azioni dei
governi, con la costanza e virtù dell’animo suo resiste e
risolve con temperanza a ogni pericolosissimo
accidente” (1).
La passione e la speciale predilezione che i Medici
svilupparono, fin dal Quattrocento, per le incisioni su
pietre dure e preziose, portò alla creazione di una delle raccolte
più rilevanti
della storia, fonte di grande
prestigio per tutti i membri della famiglia, che nel corso dei secoli continuarono
a incrementarla mediante
nuove acquisizioni.
Iniziatori della collezione furono Cosimo il Vecchio
e il figlio Piero il Gottoso.
Quest’ultimo, in particolare, riservò alle pietre incise un
ruolo di grande rilievo all’interno del suo celebre
studiolo nel Palazzo di
via Larga, vera e propria camera delle meraviglie
esibita con orgoglio solo a un
numero selezionato di insigni visitatori, dove le gemme furono messe in
stretto rapporto con altri oggetti di
pregio antichi e moderni quali monete, medaglie, sculture, gioielli, vasi
in pietra dura e preziosi codici
miniati.
Il gusto per simili opere fu trasmesso da Piero al figlio Lorenzo
il Magnifico, con il quale il tesoro
mediceo si ampliò considerevolmente e l’arte stessa della
glittica beneficiò di un significativo
rinnovamento, stimolato dal fascino che le pietre della sua collezione
suscitarono sugli incisori
contemporanei.
Ancor più rilevante fu l’interesse che i preziosi
cammei e gli intagli di Lorenzo esercitarono sull’ambiente artistico
fiorentino, da sempre sensibile verso questa particolare tipologia di
manufatti.
A tale aspetto la mostra dedica un’ampia sezione articolata
all’interno
della sala detta
di Giovanni da San Giovanni, vero e proprio cuore del Museo e luogo ideale per esporre alcune
delle gemme più famose del
Magnifico, celebrato come mecenate e instauratore di un’età gloriosa
dagli affreschi sulle pareti realizzati
da Giovanni Mannozzi (detto Giovanni da San Giovanni), Francesco Montelatici
(detto Cecco Bravo), Ottavio
Vannini e Francesco Furini.
Tra gli esemplari di Lorenzo che maggiormente
catturarono l’attenzione degli
artisti rinascimentali spicca il calcedonio raffigurante Diomede con
in mano il Palladio (2), intaglio di grande
qualità, oggi disperso ma noto da impronte e placchette bronzee,
appartenuto all’umanista Niccolò Niccoli,
al cardinale Ludovico Trevisan e al pontefice Paolo II Barbo.
In esso,
già nella
prima metà del Quattrocento,
Lorenzo Ghiberti individuò un sublime modello di armonia e proporzioni,
attribuendone l’esecuzione a
Policleto (3), il teorico delle tecniche per oggettivare il bello in
una figura umana.
E come exemplum del Canone di Policleto,
il Diomede fu ammirato da
Leonardo da Vinci, che dalla elegante posa dell’eroe greco effigiato
nell’intaglio,
o forse da una sua
derivazione, prese spunto per lo studio di un giovane nudo seduto conservato
presso la Royal Library a
Windsor (4).
Altrettanto elogiata fu la mirabile corniola di età augustea
con il mito di Apollo e Marsia ora
conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, conosciuta anche
con il nome di Sigillo di Nerone.
Quest’opera, entrata a far parte della collezione di Lorenzo
nel 1487 (5), fu tra le gemme più famose del
Rinascimento, stimata da una folta schiera di letterati e di artisti:
da Ghiberti a Filarete, dai miniatori
Gherardo e Monte di Giovanni a Sandro Botticelli,
che ne riprese il motivo iconografico nel pendente al
collo della giovane donna, forse Simonetta Vespucci, rappresentata
in un sensuale ritratto prestato
eccezionalmente dello Städel Museum di Francoforte (6).
Tale scelta
fu sicuramente dettata da un preciso
intento simbolico, connesso molto probabilmente agli ideali del circolo
laurenziano, all’interno del quale
l’episodio mitologico della disputa musicale tra il divino Apollo
e il terrestre Marsia assunse particolari
connotazioni di carattere morale (7).
Accanto a fedeli trasposizioni
delle scene riprodotte sulle gemme
laurenziane, gli artisti fiorentini della seconda metà del Quattrocento,
impegnati nel riproporre l’antico con
linguaggio moderno, diedero prova di più libere interpretazioni
delle figure incise sulle pietre, traendone in
molti casi spunto per creazioni del tutto originali.
La testimonianza
più significativa
di questo tipo di
rielaborazione è fornita dalla Nascita di Venere,
eseguita da Botticelli dopo il suo ritorno da Roma dove era
stato inviato da Lorenzo per affrescare le pareti della Sistina.
Nel dipinto il movimento modulato e sinuoso
del lato sinistro della Venere, “accentuato dalla spalla cadente
e sottolineato dal braccio disteso lungo il
corpo, ricorda l’Apollo” (8) del sigillo neroniano, mentre
la coppia costituita da Zefiro abbracciato alla ninfa
Clori rimanda alla raffigurazione dei venti Etesii intagliati alla
sommità della
scena adornante la parte
interna della prestigiosa “Scudella nostra” di
calcedonio, nota con il nome di Tazza Farnese (9), esemplare
eccezionale della glittica di età ellenistica, ricca di dettagli
significativi e di raffigurazioni complesse, che fu
ceduta da Sisto IV Della Rovere al Magnifico nel 1471 in occasione
dell’ambasciata
del Medici a Roma per
l’elezione del pontefice.
Sempre alla Tazza Farnese e, in particolare,
al Gorgoneion inciso sul verso del
sontuoso oggetto si ispirerebbe inoltre la capigliatura di Zefiro,
composta da plastiche ciocche sinuose
lumeggiate d’oro (10).
I Medici dimostrarono anche pubblicamente l’importanza
dell’arte
dell’incisione su pietra facendo eseguire
dalla bottega di Donatello le copie ingrandite delle gemme che
ritenevano più importanti,
collocandole nei
tondi sopra il colonnato del cortile del Palazzo di via Larga.
Dei dodici medaglioni sette riproducono, in
modo più o meno fedele, gemme famose nel Rinascimento (Diomede
e il Palladio, Poseidon e Atena in gara
per il dominio sull’Attica, Satiro e il piccolo Dioniso,
Dioniso e Arianna a Nasso, Dioniso su un carro condotto
da Psychai, Icaro e Dedalo, Centauro), quattro lo stemma della
famiglia Medici e uno il lato minore di un
sarcofago con uno scita prigioniero, inginocchiato dinanzi a un
duce romano, situato nel xv secolo lungo un
fianco del Battistero fiorentino.
Anche per Donatello le gemme
rappresentarono delle importanti fonti
visive, alle quali ricorse per alcuni dettagli nelle sue sculture,
cogliendo motivi iconografici tratti da
importanti cammei antichi.
Nel David, collocato al centro del cortile
di Palazzo Medici alla morte di Cosimo
il Vecchio, per la scena sull’elmo di Golia, interpretata
come un trionfo di Amore, l’artista trasse ispirazione
dal cammeo con Dioniso su un carro tirato da Psychai oggi
al Museo Archeologico Nazionale di Napoli che
nel 1457 risultava di proprietà di Pietro Barbo, e in seguito
entrò a
far parte della collezione Medici grazie a
Lorenzo il Magnifico (11).
Un’altra precoce e affascinante
testimonianza del gusto per la glittica antica in
Donatello si manifesta nel gruppo della Giuditta, opera dalla lunga
gestazione, iniziata nel 1457 e terminata
dall’artista solo nel 1464, quando fu portata dalla sua bottega
nella residenza medicea di via Larga. Sul
tergo della figura di Oloferne, entro un medaglione parzialmente
coperto dalla veste di Giuditta, è la
raffigurazione di un Centauro puntualmente tratto da un
altro celebre cammeo, che quasi negli stessi anni
fu usato come prototipo anche per uno degli otto tondi di marmo
posti a ornamento del cortile di Palazzo
Medici. Nel caso della Giuditta, esempio biblico di virtù patriottica, è chiaro
che la raffigurazione del
centauro, emblema di lussuria fin dall’antichità,
fu associato a Oloferne con un preciso intento simbolico (12).
Un particolare significato allegorico dovette avere
per gli umanisti del Quattrocento anche il medaglione
raffigurato sul petto del cosiddetto Busto di giovane ‘neoplatonico’ del
Museo Nazionale del Bargello attribuito a Donatello, puntuale riferimento all’antico,
desunto molto probabilmente da un cammeo
registrato per la prima volta nell’inventario della sterminata
raccolta di Pietro Barbo (in seguito entrato
nella collezione di Lorenzo il Magnifico) e interpretato come una
rappresentazione dell’anima ispirata a un
passo del Fedro di Platone.
Nel suo Convito, infatti, Marsilio
Ficino commentava che Platone definiva
l’anima un carro e la “Mente data alle cose divine” un
auriga intento a reggere con mano sicura le redini di
due cavalli, simboleggianti rispettivamente la ragione e l’appetito
dei sensi (13).
Con analoghe implicazioni
morali l’immagine dell’anima-auriga fu riprodotta
anche tra i lussuosi decori scultorei eseguiti intorno al
1460 da Antonio Rossellino sul basamento del monumento funerario
del cardinale del Portogallo, Giacomo
di Lusitania, in San Miniato al Monte a Firenze.
Dal grande Salone
di Giovanni da San Giovanni la mostra si snoda nelle altre
tre sale di rappresentanza,
dove, in sequenza cronologica, è ripercorsa la storia
della raccolta medicea nel corso del XVI, XVII e XVIII
secolo attraverso una mirata selezione di opere individuate
in base alla qualità e
alla provenienza
documentata.
Vi troviamo pezzi capitali per le loro dimensioni
e caratteristiche di lavorazione, come il
grande cammeo fatto eseguire da Cosimo I al milanese Giovanni
Antonio de’ Rossi
con il ritratto del
granduca, della moglie Eleonora di Toledo e di cinque dei loro
figli o il notevole onice raffigurante un
Imperatore che sacrifica alla Speranza appartenuto
molto probabilmente a Ferdinando I e considerato uno
dei più alti esempi di glittica di età tardimperiale
(14).
Con il passaggio alla terza Sala dell’Udienza
si accede all’ultima sezione della mostra, che raccoglie
cammei e intagli di estrema raffinatezza provenienti dalle
raccolte del cardinale Leopoldo de’ Medici, Cosimo III,
Gian Gastone e Anna Maria Luisa.
Si tratta
principalmente di lavori siglati da importanti artefici dell’antichità quali
Teukros e Protarchos, autore del
celebre cammeo con Amore che cavalca un leone, ben
noto agli artisti del Settecento come Tommaso
Gherardini, che ad esso si rifece per uno dei medaglioni di
gusto neoclassico decoranti la splendente sala
degli Uffizi ideata per accogliere il gruppo dei Niobidi.
Accanto
a questi esempi trovano posto le creazioni
degli abili maestri “di pietre in bassorilievo” dei
gloriosi laboratori della Galleria dei Lavori (futuro Opificio
delle Pietre Dure), a dimostrazione di una continuità senza
strappi con il passato e del continuo impegno
profuso dai Medici nel rinnovamento dell’arte principesca
della glittica.
1 Vasari 1588, p. 77.
(ed. Milanesi 1878-1885, VIII, 1882, p. 39.
2
Ghiberti, ed. Schlosser 1912, I, p. 47.
3 Filarete, ed. Finoli-Grassi 1972, n. p.
680.
4 Cat. n. 18.
5 Bullard-Rubinstein 1999, pp. 283-286; cat. n. 35.
6 Per una recente rilettura di questa opera si veda in particolare Cecchi 2005,
p. 226 e W. Dello Russo in Acidini 2009, p. 164.
7 Wyss 1996, pp. 43-60.
8 Bocci Pacini 1987, p. 24.
9 Yuen 1969, pp. 175-178; Dacos 1973, pp. 149 e sgg.; Gasparri 1994, pp. 75-83.
10 Acidini Luchinat 2001, p. 112.
11 Ames-Lewis 1979, pp. 143-147; Kent 2005, p. 352.
12 Sulla Giuditta si veda in particolare Natali 1988, pp. 26-27 e Kent
2005, p.348.
13 Chastel 1964
(2), p. 48.
14
L. Tondo, in Tondo-Vanni 1992, p. 49, n. 270.
Bibliografia
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Pittore e Architetto aretino: sopra le invenzioni da
lui dipinte in Firenze nel Palazzo di loro Altezze Serenissime,
Firenze 1588
-
Ghiberti, ed. Schlosser 1912
J. Von Schlosser, Lorenzo Ghiberti Denkwürdigkeiten (I Commentarii),
2 voll., Berlin 1912
-
Chastel 1964 (2) - A. Chastel, Arte e umanesimo a Firenze, seconda
edizione, Torino 1964
- Yuen 1969 - E.S. Yuen, The Tazza Farnese as a sourse for Botticelli’s “Birth
of Venus” and Piero di Cosimo’s “Myth of
Prometheus”, in “Gazette des Beaux-Arts”, LXXXIV,
1969, pp. 175-178
- Filarete, ed. Finoli-Grassi 1972 - A. Averlino detto il Filarete,
Trattato di architettura, testo a cura di A.M. Finoli, L. Grassi,
2 voll., Milano 1972
- Dacos 1973 - N. Dacos, La fortuna delle gemme medicee nel Rinascimento,
in Firenze 1973, pp. 133-167
- Firenze 1973 - Il tesoro di Lorenzo il Magnifico. Le gemme,
catalogo della mostra (Firenze), a cura di N. Dacos, A. Giuliano,
U. Pannuti, Firenze 1973
- Ames-Lewis 1979 - F. Ames-Lewis, Art History or Stilkritik?
Donatello’s
Bronze David reconsidered, in The Art History”, II, 2,
1979, pp. 139-155
- Bocci Pacini 1987 - P. Bocci Pacini, Nota archeologica sulla
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del Botticelli restaurate, in “Gli Uffizi”, 4, 1987,
pp. 19-32
- Tondo 1990 - L. Tondo, I cammei, in Tondo-Vanni 1990, pp. 1-32
- Tondo-Vanni 1990 - L. Tondo, F.M. Vanni, Le
gemme dei Medici e dei Lorena nel Museo Archeologico di Firenze,
Firenze 1990
- Gasparri 1994 - C. Gasparri (a cura di), Le
gemme Farnese, Napoli 1994
- Wyss 1996 - E. Wyss, The Myth of Apollo and Marsyas in the
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- Bullard-Rubinstein 1999 - M.M. Bullard, N.
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the ‘Sigillo di Nerone’, in “Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes”, LXII, 1999, pp. 283-286
- Natali 1998 - A. Natali, Exemplum salutis publicae, in Donatello
e il restauro della Giuditta, catalogo della mostra
(Firenze), a cura di L. Dolcini, Firenze 1998, pp. 19-32
- Caglioti 2000 - F. Caglioti, Donatello e i
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- Acidini Luchinat 2001 - C. Acidini Luchinat,
Botticelli. Allegorie mitologiche, Milano 2001
- Rastrelli 2003 - A. Rastrelli, Le gemme medicee
nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze, in Firenze 2003,
pp. 37-41
- Firenze 2003 - I gioielli dei Medici dal vero
e in ritratto, catalogo della mostra (Firenze), a cura di M.
Sframeli, Livorno 2003
- Cecchi 2005 - A. Cecchi, Botticelli, Milano 2005.
- Kent 2005 - D. Kent, Il committente e le arti. Cosimo de’ Medici
e il Rinascimento fiorentino, Milano 2005
-
Acidini 2009 - C. Acidini (a cura di), Botticelli nel suo tempo,
Milano 2009
Mostre
a Palazzo Pitti e nel Museo degli Argenti:
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