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Un simbolo
fiorentino: la Chimera - Il mito
Chimaitra, in greco, significa capra.
Era, infatti, un mostro della mitologia greca che portava sulla schiena
una testa di capra; il corpo e la testa di leone con la coda a forma
di serpente era talvolta rappresentato alato. Omero ed Esiodo la narrano
come figlia di Tifone.
La Chimera fu uccisa da Bellerofonte, l'eroe ritenuto da alcuni figlio
di Posidone; Bellerofonte fu capace di catturare e domare il cavallo
alato Pègaso e con lui riuscì ad uccidere la Chimera. La
Chimera del Museo Archeologico di Firenze è rappresentata
ferita mentre si sta lanciando sul suo aggressore, con la testa
di capra reclinata e morente per le ferite ricevute; la coda,
frutto di un restauro del '700 non corretto, avventa la capra
invece del nemico. Viene supposto, dal tipo di ferita sanguinante
sul collo della capra, che la Chimera facesse parte di un gruppo scultoreo
composto
anche da Bellerofonte sul Pegaso; non è esclusa però l'ipotesi
che si trattasse di un dono votivo a se stante.
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Il Direttore del Museo Archeologico, G. Carlotta Cianferoni,
mentre
illustra la partenza della Chimera per il Getty di Los Angeles per la
mostra che si aprirà il 16 luglio 2009 fino al febbraio 2010 stabilita
in
accordo fra il Dir. Generale dei Beni Archeologici Italiani e il Direttore
del J. Paul Getty Museum.
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La conferenza di presentazione con, da sinistra, Fulvia Lo Schiavo, Soprintendente
per i
Beni
Archeologici, Mary Ellen Countryman, Console Generale degli Stati
Uniti a Firenze,
G. Carlotta Cianferoni, Direttore del Museo Archeologico
Nazionale
di Firenze e Giovannangelo Camporeale, Presidente dell'Istituto di
Studi Etruschi e dell'Associazione "Amici della Chimera". L'Associazione,
tramite una filiazione
negli
USA, seguirà da vicino le tre grandi mostre americane
dedicate ai prestiti dal
Museo
fiorentino: la mostra sulla Chimera, la successiva
dedicata ai grandi bronzi e in
ultimo la mostra annunciata come "epocale" dedicata
agli Etruschi.
La Chimera: dalla scoperta al Museo Archeologico.
La Chimera fu rinvenuta il 15 novembre del 1553, come informa, con dovizia
di particolari, una Deliberazione del Comune di Arezzo: “Mentre
fuori delle mura di Arezzo, presso Porta San Lorentino, veniva scavata
terra destinata a realizzare un nuovo bastione, fu scoperto
un insigne monumento etrusco.
Si trattava di un leone di bronzo, di grandezza naturale, eseguito in modo
elegante e ad arte, feroce nell’aspetto, minaccioso per la ferita
che aveva nella zampa sinistra, che aveva le fauci aperte e i peli della
giubba eretti e portava sul dorso, a guisa di trofeo, la testa di un capro
sgozzato, morente e
insanguinato…. Il nostro Principe comandò che quest’opera
così eccellente fosse portata a Firenze assieme a molte piccole
statue di fanciulli, uccelli e animali rozzi, fra i quali anche un cavallo,
alte un piede ciascuna, trovate assieme”.
È
dunque evidente che la statua faceva parte di una vera e propria stipe
votiva e lo conferma anche il Cellini, riferendo che la Chimera fu
trovata
insieme con un gran numero di statuette, anch’esse di bronzo
ma di minori dimensioni, molte delle quali mancanti di testa, mani
o piedi, e “coperte di terra e di ruggine”, tanto che il
granduca Cosimo I si occupò personalmente di pulirle e restaurarle “con
certi cesellini da orefici”. Purtroppo, al momento, tra i bronzi
antichi provenienti dalle collezioni mediceo-granducali, sono stati
individuati solo tre bronzetti sicuramente riconducibili alla stipe
di cui faceva parte la Chimera: si tratta di due offerenti, un uomo
barbato (identificato con Tinia, lo Zeus del pantheon etrusco), ed
un giovanetto imberbe, oltre ad una figura di grifo alato.
Il ritrovamento
della Chimera si colloca in un periodo in cui i Medici
cercavano in ogni modo di evidenziare il passato etrusco della Toscana,
nel tentativo di giustificare nel presente le mire espansionistiche dello
stato fiorentino che, secondo Cosimo I, doveva corrispondere al territorio
in antico dominato dagli Etruschi, e quindi estendersi dall’Appennino
al Tirreno, avendo come confini il Magra a Nord e il Tevere a Sud. Per
Cosimo, dunque, e per l’ambiente
mediceo di quegli anni, la scoperta della Chimera rappresentò una
fortuita quanto fortunata coincidenza. Anche per questo, il Granduca
volle la statua presso di sé e la fece sistemare nella sala
adiacente “ alla
gran sala del Palazzo”. La sua successiva collocazione nella sala
di Leone X in Palazzo
Vecchio obbediva al programma decorativo della residenza
medicea ideato dal Vasari, dal momento che il più prestigioso cimelio
dell’etruscità toscana, noto a quei tempi, simboleggiava
ormai tutte le fiere che Cosimo aveva dovuto domare per costruire il suo
regno.
La statua rimase lì dove l’aveva voluta il Vasari
fino al 1718 quando, il 12 gennaio, il consegnatario della Guardaroba annotò che,
per ordine di Cosimo III, la Chimera, “la
quale esisteva nel salotto di Papa Leone sopra di una base di pietra accanto
alla scala, fu consegnata” a
Francesco Bianchi custode della
Galleria.
Solo nel 1782, per intervento di Luigi Lanzi, allora Curatore
della Galleria, la Chimera, insieme alla Minerva,
all’Arringatore
e all’Idolino, venne collocata “là ove
il corridore piega a mezzodì”, come testimonia un disegno
del 1750, dove la statua appare ancora senza il restauro settecentesco,
e quindi priva della coda. Si rileva infatti che, per quanto insieme
ai pezzi portati a Firenze fosse presente un frammento della coda, teste
il Vasari, questa non venne mai ricomposta. L’intento
di Lanzi era quello di isolare i pezzi più prestigiosi della
collezione e di eseguire anche alcuni interventi di conservazione.
Per
quanto riguarda la Chimera, il restauro comportò proprio l’invenzione
ex novo della coda, che si deve a Francesco Carradori, docente dell’Accademia
di Belle Arti di Firenze.
Non è chiaro da dove quest’ultimo abbia tratto ispirazione
per rappresentare il corpo del serpente in atto di azzannare le corna
del capro; sta di fatto che si tratta di un’interpretazione
che non trova riscontri nell’iconografia nota. Dall’originaria
collocazione nella Galleria degli Uffizi, il grande bronzo entrò poi
a far parte delle collezioni del Regio Museo Archeologico di Firenze,
all’atto
della sua costituzione nel 1870; qui, nel Palazzo della Crocetta, l’allora
Direttore del Museo, Luigi Adriano Milani, costituì la “
Galleria dei Bronzi” proprio intorno all’ormai celebre
statua etrusca.
Di G. Carlotta Cianferoni
Altre immagini ed informazioni
del
Museo Archeologico Nazionale sono nelle pagine
degli eventi e degli incontri:
Incontri
2016-2017. Quinto ciclo
di Conferenze di Archeologia
Piccoli Grandi Bronzi. Capolavori greci, etruschi e romani delle
collezioni mediceo-lorenesi
Restaurata la Testa di Cavallo Medici Riccardi
"I
colori perduti dell'antichità i
Marmi
di Ascoli Satriano" in confronto diretto con il "Sarcofago
delle
Amazzoni"
“Il
Museo Archeologico Nazionale di Firenze quarant’anni dopo”
In mostra grandi capolavori etruschi - Riapre il Salone del Nicchio chiuso
dall’Alluvione
del ‘66 - L’entrata del Museo torna definitivamente da piazza
Santissima
Annunziata - Mostra “Archeologia e Restauro in Toscana” -
“ Motivi Egizi nel Cimitero degli Inglesi.
La speranza nella vita oltre la morte” dal 23 settembre
2006 al 27 maggio 2007 nel Museo Archeologico Nazionale - Firenze
"Incontri con
la cultura europea in Toscana: la
Slovacchia"
"Slovacchia:
crocevia della storia d'Europa" - Museo Archeologico dal 24
settembre
2005 al 15 gennaio 2006
"Cinque
sensi e il piacere della vita nell'Antico Egitto" al Museo
Archeologico Nazionale di Firenze, in occasione
delle
Giornate
Europee del Patrimonio 2005
Rificolona
2005:
Il museo Archeologico riapre l'ingresso "storico" sul
lato Est della
piazza di SS.ma Annunziata - Immagini
della serata