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Chianti - Impruneta -
VII centenario (1309-2009)

"Il cotto dell'Impruneta"

Come si lavora per realizzare i manufatti di cotto dell’Impruneta

Galestro. O Terra turchina.
Si chiama così l’argilla di color azzurro violaceo, ricca di minerali e di materiali organici, che abbonda nell’area di Impruneta. Si tratta dell’argilla da cui nasce il cotto, con le sue peculiarità chimico-fisiche che determinano sia le caratteristiche estetiche del prodotto (un caldo rosso rosato), sia la straordinaria robustezza e resistenza agli agenti atmosferici, gelo in particolare.

Le fasi della produzione sono cinque: raccolta e macinazione, lavorazione, essiccamento, cottura, bagnatura. Ovvero terra, acqua, aria, fuoco, i quattro elementi aristotelici che, dosati dalle abili mani artigiane, danno all’uomo prodotti utili e belli.

La raccolta è abbastanza semplice. L’area è di formazione geologica recente, i giacimenti sono per lo più a cielo aperto e quasi sempre le fornaci si trovano ai margini. Il galestro viene dunque facilmente trasportato sul luogo di lavorazione e qui messo ad asciugare sotto appositi loggiati per dar modo alle sostanze organiche di sciogliersi, rendendo l’argilla ancora più duttile.

A questa fase preliminare segue la macinazione, indispensabile per polverizzare i residui pietrosi. Un filtraggio successivo separa le parti più grossolane (grossumini) dalle più sottili (fiori). Le prime si usano per i laterizi, le seconde per gli altri manufatti (orci, vasi, conche, sculture e oggetti vari). Prima di procedere, però, si aggiunge acqua pulita, di solito 1⁄4 di litro ogni 100 grammi di argilla.

Quindi si passa alla lavorazione vera e propria. Le difficoltà variano sensibilmente a seconda che si tratti di lavoro quadro (mattoni, tegole, embrici) o lavoro tondo (conche, orci, vasi). Nel primo caso, si mescola l’impasto con la terra gialla (proviene dai depositi superficiali e per questo è più grassa), poi lo si distribuisce in stampi di diverse forme e dimensioni. Si livella con una stecca, si estrae dagli stampi, si fa seccare, infine si mette in forno. Tutto piuttosto semplice. I mattoni nascono così.

La vera abilità del vasaio si vede invece nel lavoro tondo. Prendiamo una conca (ma un orcio è lo stesso). Prima si ‘fonda’ (prepara) la base, poi si procede, sempre a mano, a forza di lucignoli. Si tratta di cilindretti di argilla che vengono disposti uno sull’altro e plasmati con precisione e attenzione per garantire la giusta curvatura e il giusto spessore. E’ un lavoro chiamato colombino, che procede assai lento e che richiede tutta un’abilità artigiana. Si va per gradi. Finché la parte già plasmata non si asciuga fino a raggiungere la cosiddetta durezza cuoio, non è possibile sovrapporre nuovi lucignoli. Dunque la conca cresce non più di 20/30 cm al giorno. Per far prima, c’è chi usa calchi o gusci (anime) in gesso o in terracotta. Certo, non è la stessa cosa.

Prima della cottura, i manufatti vanno all’essiccamento. Processo che non deve essere ne’ troppo lento ne’ troppo veloce, perché si deve sì raggiungere la durezza cuoio, ma occorre anche conservare quel tanto di umidità che consentirà di affrontare indenni le alte temperature del forno. L’essiccamento avviene dunque nel modo più naturale, d’inverno in ampi saloni ventilati, d’estate sotto loggiati all’aria aperta.

I forni sono a doppia camera, tecnica rimasta tale dai tempi di Roma antica. Si tratta di due vani sovrapposti. In basso la camera di combustione, dove si accende il fuoco con fascine di legno o combustibile a gas. Sopra i manufatti stivati. I due ambienti comunicano con una serie di fessure attraverso le quali il calore si diffonde in modo omogeneo.

In genere, i tempi di cottura variano molto e sono sempre particolarmente lunghi. L’argilla, infatti, non deve subire shock termici. Dunque, tra preriscaldamento, cottura e raffreddamento passano dalle 36 alle 65 ore. A cottura finita, i cotti (finalmente tali) vanno alla bagnatura. Può sembrare un’inezia, ma è una delle fasi più importanti, quella che dà ai prodotti d’Impruneta la capacità di resistere agli sbalzi di temperatura e al gelo.

In un recente volumetto "La Terracotta dell’Impruneta", Edifir, collana I mestieri d’arte, Laura Casprini Gentile e Laura Hamad, raccontano la lavorazione del cotto.

particolare di ghirlanda a foglie e frutta
©www.zoomedia.it vanna innocenti 23 marzo 2009
"Il cotto dell'Impruneta" particolare di ghirlanda a foglie e frutta
di manifattura fiorentina in terracotta del XVII-XVIII sec.
proveniente dal Giardino di Boboli, Firenze.

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Pagina pubblicata il 27-03-2009 - Aggiornato il 30-Nov-2015