"Ospiti
invernali: spazzacamini e buzzurri"
"Ogni anno, al principio dell’inverno,
vediamo giungere in Firenze gli spazzacamini ed i buzzurri.
I primi scendono dalle montagne del Trentino, ed appartengono quasi tutti
ai paesi della Val di Non e della Val di Sole.
Circa l’inizio della loro annuale immigrazione nella nostra città non
si hanno notizie precise, ma è probabile che alcuni spazzacamini cominciassero
a venire a Firenze allorché la dinastia lorenese ebbe la dominazione
della Toscana, poiché a Tuenno nel Trentino esiste ancora una famiglia
i cui appartenenti da qualche secolo avevano l’incarico di venire
a Firenze a spazzare i camini di Palazzo Pitti e delle ville granducali.
Oggi la diffusione del termosifone ha ridotto il campo di lavoro degli
spazzacamini, ma qualcuno viene ancora col ragazzetto e riesce a fare un
buon gruzzolo
di denari sia togliendo la filiggine ai tubi delle stufe, e dei camini,
sia mandando il piccolo garzone a questuare di casa in casa."
Altri antichi ospiti
invernali di Firenze sono i «buzzurri»,
ricordati anche nel grande vocabolario della Crusca dove si legge: «buzzurro:
questo nome suol darsi in Toscana a quelli svizzeri che nella stagione
dell’inverno
ci vengono a esercitare lo loro industria di far bruciate, ballotte e pattona,
vender castagne e farina dolce».
Filippo Pananti nel suo romanzo in
rime «Il Poeta del Teatro» osservando
come sia più facile guadagnare esercitando un mestiere che con la
letteratura, scrive:
Fino il buzzurro, fino il bruciataio
E chi vende le immagini di Lucca
Torna a casa col suo salvadanaio.
I compilatori del vocabolario aggiungono
questa annotazione: «si dicevano
così anche di quelli svizzeri che da noi tengono pasticceria e
bottega di caffè».
Politicamente è vero che i buzzurri sono svizzeri, ma geograficamente
no, poichè essi appartengono al Canton Ticino che è prettamente
italiano.
L’immigrazione dei «buzzurri» a Firenze risale al
1720, ma secondo una storia scritta dal can. Borrani essi sarebbero
discesi dalla
Svizzera in Italia alla fine del secolo decimosesto, incoraggiati da
San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano. Questi vedendo le misere
condizioni
dei poveri castagnari li esortò a venire a svernare nella metropoli
lombarda, donde poi si spinsero anche in Toscana.
Alla vendita delle
castagne crude e cotte e della farina dolce aggiunsero quella della
pattona o polenta con notevole vantaggio finanziario,
perchè subito
tale prodotto di loro fabbricazione incontrò il favore dei fiorentini.
Secondo notizie tramandate da alcuni vecchi «buzzurri» di generazione
in generazione, il primo che si stabilì a Firenze fu un certo
Pietro Antonio Gianella di Leontina nel Canton Ticino.
Egli prese in affitto dall’antico convento di San Pier Maggiore
una bottega al Canto delle Rondini, cioè in quel punto in
cui l’antica
via del Fosso (ora Verdi) si incrocia con Via Pietrapiana, Via dell’Oriuolo
e Borgo degli Albizi.
Nel 1760 si unì a lui, come socio, Giovanni di Maria, che morì in
Firenze nel 1790 nell’Arcispedale di Santa Maria Nuova e fu tanto
rimpianto dai suoi conterranei.
Il successo del primo negozio del Canto alle Rondini indusse altri
buzzurri a venire in Firenze nella stagione invernale per tale genere
di industria,
mentre altri compaesani che si erano stabiliti a Livorno non ottennero
alcun resultato favorevole e desistettero dalla loro impresa.
Nella prima metà del secolo passato i negozi dei buzzurri in Firenze
erano parecchi, ma il più famoso divenne quello di Via Romana N. 3
all’imbocco di Piazza San Felice perchè nel 1830 introdusse
anche la vendita del formaggio svizzero della Gruyere (detto comunemente
il Groviera) ma che in quel tempo il popolo chiamò il cacio di «sbrinze».
Oltre alla pattona egli faceva anche le «boncerelle» di farina
dolce ed era idolatrato dai ragazzi per tale specialità di cui nessuno
dei suoi colleghi ha più continuato la produzione ai nostri
tempi.
Un altro buzzurro famoso era un certo Romagnoli di Largavio che aveva
una piccola bottega sul ponte alle Grazie.
Nel 1874, quando furono abbattute tutte le casette fabbricate sulle
pigne e perfino l’oratorio che si trovava al principio del ponte sparì con
le altre botteghe anche quella del Romagnoli.
A proposito di questo buzzurro, il compianto cav. Cesare Parissi
scrisse nel libro delle sue «Memorie» questo aneddoto:
«
Una sera d’inverno una carrozza si fermò davanti alla
bottega di questo buzzurro che aveva scodellato allora un’appetitosa
polenta. Io, assieme ad altri ragazzi pensammo di fargli un tiro
birbone. Si legò una
funicella da un capo alla gamba del tavolino dove era stata posta
la polenta e dall’altra parte si legò alla rota della
carrozza. Si capisce facilmente quale era il nostro intento, che
in realtà ebbe
un successo felicissimo. Difatti quando il vetturino si mise in moto,
fra la maraviglia
e lo stupore del povero buzzurro, la bellissima polenta ed il
tavolino disparvero dietro alla carrozza»...”
Tratto da “Da Firenze... a Firenze – Ricordi, Leggende, Aneddoti” di
Cesare Torricelli; Libreria Editrice Fiorentina, 1983; capitolo XLIX
Nei lavori del castagno vedi anche la sbucciatura delle castagne
secche nel 1930 nell'immagine della mostra: "Guadagnarsi
il pane - Luoghi e etempi del lavoro in Toscana fra '800 e '900"