Presentazione della mostra di Franca Falletti
Direttrice
della Galleria dell’Accademia
"
La mostra "Virtù d’amore", che presenta una
scelta di arredi da camera dipinti nel secolo XV presso alcune delle più attive
botteghe fiorentine, offre al visitatore molteplici chiavi di lettura. La
più immediata e assolutamente consueta per una mostra allestita presso
la Galleria dell’Accademia è volta a contestualizzare un’opera
presente nella nostra collezione permanente, in questo caso il così detto Cassone Adimari che,
accostato ad altri oggetti analoghi per destinazione, periodo e luogo di
provenienza, potrà senza dubbio acquistarne in
chiarezza di significato per il pubblico e in puntualizzazione storica
per gli studiosi.
La seconda chiave di lettura è quella critico attribuzionistica,
sulla quale hanno fatto perno quasi esclusivo altre mostre in passato,
come quella su Giotto, su Lorenzo
Monaco o su Giovanni da
Milano, gli eventi,
cioè, relativi al momento storico (il Trecento fiorentino)
su cui la Galleria dell’Accademia ha una specificità tutta
particolare sia sotto il profilo della tipologia delle collezioni,
sia sotto il profilo dell’esperienza tecnico scientifica e di
ricerca.
Nel caso della presente mostra tale chiave di lettura, per
quanto non abbia mancato di portare ad alcuni risultati di grande interesse,
si è presentata particolarmente impegnativa, per
molti motivi, di cui cercherò d’illustrare i più evidenti.
Sebbene negli ultimi anni l’argomento sia stato oggetto di
varie altre esposizioni temporanee analoghe, anche di altissimo livello,
il patrimonio di pittura proveniente da arredi di dimore private rinascimentali
fiorentine è ancora molto da scoprire e da studiare.
La sua conoscenza è oggettivamente ostacolata dal frequente
mediocre stato di conservazione, dovuto in primo luogo all’essere
oggetti di uso, ma anche al fatto di appartenere a ben determinate
persone e famiglie e quindi di aver subito la sorte, magari avversa,
dei loro proprietari. Questo ha comportato la cancellazione di stemmi
o la graffiatura di volti in cui si potevano ravvisare le sembianze
di persone detestate o ancora gesti distruttivi di altro tipo, ma tuttavia
legati a una qualsivoglia sorta di “damnatio memoriae”.
Inoltre ha pesato su deschi da parto, frontali di cassoni,
parti di spalliere e oggetti analoghi, la crociana attitudine a considerarli
oggetti di arte “minore” e come tali
a lasciarli preferibilmente nei depositi e non troppo curati dal
punto di vista conservativo, talvolta anche in musei importanti e accorti.
Al
di là dello stato di conservazione, comunque, la lettura stilistica
di queste opere è di
per sé complessa per essere in gran parte produzione quasi
seriale, fatto da cui può conseguire la ripetitività dei
soggetti e delle soluzioni compositive, come anche la partecipazione
di varie mani sullo stesso testo pittorico, più di quanto
non avvenga su dipinti ritenuti di maggior impegno.
Intendo che
nella distribuzione del lavoro all’interno
di quel complesso laboratorio
“ multifunzionale” che erano le botteghe dei pittori fino a
tutto il Quattrocento, dovevano esserci da parte del maestro titolare disposizioni
assai più attente e rigide sulle commissioni meglio pagate e di maggiore
importanza a livello di
immagine, il che spesso corrispondeva alle commissioni pubbliche; su questi oggetti
di destinazione privata e di grande smercio, si può supporre invece che
talvolta il controllo potesse essere minore e che si facesse largo uso anche
di
modelli
e di stampi per le parti accessorie.
Tuttavia non sempre è così e
ci sono stupendi esempi, che la storia dell’arte
ben conosce, di cassoni e spalliere dipinti dai maggiori artisti
sul mercato, basti ricordare fra tutte le Battaglie di Paolo Uccello per Palazzo
Medici Riccardi. Anche nella nostra mostra non mancano testimonianze dell’impegno
diretto di grandi e grandissimi artisti nei confronti di questo aspetto della
pittura che potrebbe considerarsi, a torto, di secondaria importanza: Botticelli,
Filippino Lippi e Pesellino si rivelano nella loro forma migliore, in
taluni casi favoriti anche dall’intimità e dalla
vivace scioltezza dei temi trattati. Per gli studiosi e per
il pubblico di tutto il mondo si presenta inoltre l’occasione
straordinaria di ammirare l’una accanto all’altra
le quattro tavolette laterali dipinte da Botticelli e dal giovane
Filippino Lippi per una coppia di cassoni che illustrano la
storia di Ester e Assuero.
L’occasione è da considerarsi
straordinaria, perché la sorte ha frammentato e disperso
i sei pezzi costitutivi dell’insieme
in ben cinque musei diversi e non meno perché la questione
attributiva, ad oggi ancora aperta, potrà senza
dubbio avvantaggiarsi dalle indagini e gli studi correlati
al presente evento. Ma soprattutto dobbiamo far notare che
la tavoletta facente parte della Collezione Pallavicini non
compare al pubblico da almeno mezzo secolo e quindi la sua
presenza è da considerarsi per noi un dono
davvero unico e irripetibile.
Ma, recuperando il filo delle
chiavi di lettura della mostra, si è giunti
a quella contenutistica e quindi letteraria. Le storie dipinte
sui frontali di cassoni, sui deschi da parto e sulle spalliere,
infatti, fanno tutte riferimento, spesso in maniera assai puntuale,
a fonti letterarie, che sono raggruppabili per lo più come
repertorio classico, medioevale o biblico e che ci permettono
di gettare un occhio discreto sui volumi che con maggiore frequenza
costituivano il patrimonio librario di una casa colta fiorentina
nel corso del XV secolo.
Iliade, Odissea, Eneide, Metamorfosi,
mitologia greca, Petrarca e ancor più Boccaccio, così come
i libri dell’Antico Testamento vengono riletti e squadernati
sugli arredi delle camere delle spose e degli sposi non tanto
per arricchire la loro cultura e istigarli a dedicarsi, nelle
ore vuote dagli impegni casalinghi e di lavoro, a utili letture,
quanto ancor più per
ricordare loro come dovranno comportarsi affinché il
matrimonio proceda nel modo migliore.
Ed ecco quindi la quarta
e ultima chiave di lettura, quella che permette a un’esposizione
apparentemente tutta proiettata nel passato di riverberarsi
nel presente,
a ribadire la costante contemporaneità dell’arte.
La chiave di lettura secondo gli insegnamenti morali trasmessi
dalle storie e secondo le finalità formative del concetto
di buona moglie e buona madre (o di buon marito e di buon padre) è quella
che guida la successione delle opere esposte e la relativa
divisione in sezioni: La memoria dell’evento, I ruoli
nella coppia – Virtù e seduzione, L’orgoglio
della casata.
Dalla prima sezione, a sua volta divisa
nei due eventi principe della vita familiare, il matrimonio
e il battesimo, emerge come la scelta degli episodi da illustrare all’interno
delle storie fosse spesso condizionata dall’esigenza
di fissare nella memoria familiare, riproducendolo in pittura,
lo sfarzo del banchetto matrimoniale o il momento dello scambio
degli anelli fra gli sposi, atto particolarmente significativo
sotto l’aspetto simbolico e gestuale, all’interno
del lungo e complesso iter matrimoniale, che iniziava assai
prima del giorno della cerimonia vera e propria e prevedeva
una serie di elaborati contatti e contratti non tutti proprio
attinenti al concetto di amore.
Si entra poi nel cuore della
mostra con la sezione successiva, dove le pitture esposte illustrano
quelle storie da cui le giovani donne dovevano trarre i giusti
insegnamenti
per la loro futura vita di spose: fra le virtù raccomandate
primeggiano la pudicizia e l’obbedienza, quest’ultima
unita al più ampio concetto di sottomissione all’uomo,
dall’esempio
di Vasti che viene ripudiata per non essere immediatamente
accorsa al richiamo di Assuero, fino alla misera Griselda,
che viene sottoposta per anni e anni a crudelissime prove prima
di essere accettata a pieno titolo come moglie. Al contrario
delle vergini Lucrezia e Virginia, che al disonore subìto
con la forza riescono a opporre solo la propria morte, la bellissima
Alatiel, fatta oggetto di possesso da parte di numerosi uomini
violenti, sopporta tutto in silenzio e quando torna dal suo
promesso sposo gli si presenta come di nuovo vergine («E
essa che con otto uomini forse diecimila volte giaciuta era,
allato a lui si coricò per pulcella…»),
mostrando così di
avere lo stesso straordinario potere che Jorge Amado
donerà alla sua Teresa Batista. Tuttavia in tutte le sue
peregrinazioni Alatiel sarà sempre
presa da uomini stranieri, che non parlano la sua stessa lingua
e con cui lei, perciò, non può scambiar parola.
Quindi è il parlare, l’avere un contatto di dialogo
che fa la differenza e rimanda all’espressione “ conoscere” usata
nella Bibbia per indicare l’atto sessuale o al manzoniano «…e
la sciagurata rispose». Senza risposta, insomma, non c’è peccato.
Concetto modernissimo, che ci ricorda come il nostro senso del peccato
abbia impiegato secoli per risalire dal baratro in cui l’aveva
gettato la Controriforma.
Il ripudio di Vasti, invece, ha come esplicita
giustificazione, nel racconto biblico, quella di essere di esempio
per tutte le donne. La sentenza, infatti, suona così: «La
regina Vasti ha mancato non solo verso il re ma anche verso
tutti i capi e tutti i popoli che sono nelle province del re Assuero: perché quello
che la regina ha fatto si saprà da tutte le donne e le indurrà a
disprezzare i propri mariti». In realtà Ester,
che sarà incoronata regina dopo che Vasti avrà lasciato
la reggia, non è molto diversa nell’animo,
ma sa come ci si deve comportare e ottiene tutto ciò che
vuole da Assuero, mostrandosi fragile e devota. È insomma
il prototipo biblico della donna che ogni uomo desidera, perché gli
lascia l’illusione di essere il più forte e non
ne scalfisce l’immagine.
La morale, quindi, non è materia
pertinente al privato, ma è piuttosto
un fatto sociale: tenere sotto controllo il comportamento di
una donna significa garantire la tenuta della compagine sociale
e il rispetto di quelle regole grazie alle quali ogni gruppo mantiene
il suo proprio ruolo. Perché sia rivendicato il possibile
valore individuale della virtù bisognerà aspettare
fino al Romanticismo e tuttavia ancor oggi il sistema spesso
si regge così, se non nella sostanza almeno nell’apparenza.
Il comportamento di Ester introduce ad altre riflessioni,
che sono poi sviluppate nella terza sezione della mostra. La capacità della
regina di condizionare, con la dolcezza del suo aspetto, le decisioni del
sovrano si può ben definire con il termine “seduzione”,
anche se volta al fine di ristabilire la giustizia e non
di sovvertirla, come avviene nei molti casi che stanno a testimoniare il
Trionfo dell’amore sul raziocinio dell’uomo (non si registrano
casi al femminile…):
Sansone e Dalila, Virgilio e Fibilla, Aristotele e Fillide,
Giuditta e Oloferne. Tuttavia Giuditta usa la sua magia sessuale per liberare
il suo popolo e ci riporta a un caso di ambiguità del
giudizio morale, che è sempre complesso e articolato
e mette in gioco il libero arbitrio, in un momento storico
in cui esso cominciava a diventare oggetto predominante
della diatriba dottrinale fra Chiesa Cattolica e nascente
protestantesimo.
Infine, l’“orgogliodella casata”.
Perché l’uomo si
sposava avendo a cuore prioritariamente
l’opportunità di arricchire la gloria della sua
famiglia, sia legandosi a stirpi di alto lignaggio e perciò potenti,
sia garantendosi una progenie numerosa e sana, magari facendo
cadere la sua scelta su una giovane di povera famiglia, ma forte
nella costituzione fisica.
Dall’ampio materiale di documentazione delle portate
al catasto risulta evidente che, proprio nell’ottica di
garantirsi una continuità della stirpe, quando
la moglie moriva (molto spesso di parto) il maschio riprendeva
una moglie giovane, cioè in età atta a
procreare con facilità;
la cosa poteva purtroppo ripetersi più volte,
con la conseguenza che nella tarda età dell’uomo
la differenza con la sposa era spesso assai marcata.
Tale sistema può sembrare brutale, ma il nostro
giudizio deve tenere conto di una situazione demograficamente
diversa da quella attuale e nella quale la sopravvivenza
di un casato o addirittura di una città non erano
affatto scontate: le vaste aree all’interno delle
mura di Firenze ancora spopolate e coltivate a campi
o occupate da fornaci stavano lì a ricordare una
speranza di crescita violentemente frustrata dalla grande
peste del 1348.
Concludendo, la mostra è stata concepita anche per
dare adito a una riflessione sulla società del Quattrocento a Firenze
e in particolare sul valore della famiglia e sul ruolo della coppia al
suo interno. Per noi, che speriamo di aver fatto una cosa stimolante nell’ambito
delle problematiche dell’oggi, resta irrisolta una questione: e per
l’amore che spazi
c’erano? Forse fuori delle camere nuziali… "

© www.zoomedia.it - vanna innocenti
- 7 giugno 2010
Dall'alto a sinistra nelle immagini, la presentazione di Franca Falletti
nella conferenza stampa nella Tribuna del David della mostra: "Virtù
d'amore. Pittura nuziale nel Quattrocento fiorentino."; a destra,
un particolare della tavola "Giuditta e Oloferne" 1480 1490
attribuita al Maestro di Marradi (attivo fra il 1470 e il 1510 circa),
prestito
alla mostra del Museo Nazionale di San Matteo di Pisa; subito sopra:
particolare della tavola di Biagio D'Antonio Tucci (Firenze 1466-1515)
"Oltraggio e suicidio di Lucrezia" nelle "Storie di Lucrezia" del 1480-1485
circa, dalla Galleria Franchetti alla Ca' d'Oro di Venezia.
Mostre
concluse alla
Galleria dell'Accademia:
- Robert Mapplethorpe. La
perfezione nella forma
- Le forme del
corpo - Relazioni ideali nello spazio
Incontri
di studio e complemento della mostra "Robert Mapplethorpe"
- Giovanni da Milano -
Capolavori del gotico fra Lombardia e Toscana
- Meraviglie sonore - Strumenti
musicali del Barocco Italiano
- Lorenzo Monaco (Firenze
c. 1370 – c.1425)
- Dalla tradizione giottesca al Rinascimento