Home page Home page degli eventi Home page dei luoghi Home page della storia Home page dei percorsi Home page della cultura Home page delle arti Home page dei lavori Home page degli artigiani Mappa del sito
linea linea linea linea
Firenze

Donatello e una "casa" del Rinascimento
Capolavori dal Jacquemart Andrè
"

© www.zoomedia.it vanna innocenti 2007
I bronzi della collezione degli Andrè: statuette riprodotte sullo stile del Giambologna, del Pollaiolo, di Michelangelo ... "Donatello e una casa del Rinascimento" - Firenze

Dall'arredo al museo
La residenza di Edouard André e Nélie Jacquemart
di Cristina Giannini

Il Jacquemart-André fu inaugurato il 9 dicembre del 1913: il museo, situato in una invidiabile posizione sul Boulevard Haussmann di Parigi, era stato residenza di Edouard André e di sua moglie Nélie Jacquemart che, nel 1912, aveva donato all'Institut de France la palazzina e le raccolte di objets d'art frutto di quarant'anni di viaggi e di ricerche, con la clausola di conservare intatta la collezione nel suo allestimento originario.

L'apertura del museo, la generosa donazione era già annunciata da "L'Illustration" il 25 maggio 1912, fu l'evento forse più felice dell'anno per il mondo dell'arte parigino. Ne era stato nominato direttore Emile Bertaux, eccellente conoscitore e docente di Storia dell'Arte all'Università di Lione, che aveva subito provveduto a redigere un catalogo della collezione, ricchissima di dipinti, sculture, mobili, bronzetti, medaglie, placchette, terrecotte, robbiane, strumenti musicali, libri miniati, disegni e quant'altro poteva corrispondere al sogno dei coniugi André di realizzare il primo museo di arti decorative in Francia. (1)

Bulloz fu incaricato di eseguire la campagna fotografica che documentasse lo straordinario patrimonio e l'allestimento originale delle sale e, fra il 1913 e il '14, le raccolte iniziarono a essere studiate in modo metodico e i primi saggi dedicati alle collezioni di pittura e di scultura apparvero su la Gazette des Beaux-Arts, ne la Revue de l'Art Chrétien, in Kunst und Kunstler. (2) Qualche mese prima della “vernice”, Adolfo Venturi era a Parigi, ospite di Bertaux, che aveva messo a disposizione dell'illustre collega le raccolte e l'archivio fotografico.

Nel primo numero de L'Arte del 1914 lo studioso pubblicava uno scritto sulla «risorta casa del Rinascimento italiano», (3) sedotto dalla quantità e dalla squisita fattura degli stipi, dei cassoni, dei leggii, di placchette e medaglie e soprattutto da un Martirio di San Sebastiano «crudo, spasmodico, degno di Donatello».

Ciò che aveva sentito Venturi, nella residenza Jacquemart, era la sensazione, che ancora pervade il visitatore, “di un disordine pieno di suggerimenti”, nato dal capriccio, dal desiderio di godibilità, dall'amore per la bellezza, dal gusto di collezionare, la percezione di un museo che restava “profano” nonostante la forte presenza di capolavori di soggetto sacro.

Le raccolte dell'hôtel parigino -in apparenza fin troppo eccentriche- sono il frutto di due personalità diverse per provenienza, formazione, età e gusto; Edouard André veniva da una famiglia di banchieri collezionisti dalla quale aveva ereditato la passione per la pittura francese del Settecento, per il rocaille e il neoclassicismo; sua moglie Nélie, ritrattista di successo anche se di umili origini, aveva studiato con Léon Cogriet, membro dell'Institut de France e professore all'École des Beaux Arts di Parigì, era a Roma nel 1867, e si era invaghita dell'arte italiana. (4)

Nel 1872 Èdouard ha abbandonato gli incarichi politici; dispone di un cospicuo patrimonio, frequentava la società più scelta di Parigi ed é in contatto con conoscitori di tutta Europa; diviene presidente dell'Union Centrale des Arts Décoratifs, acquista una quota della " Gazette des Beaux-Arts", la prestigiosa rivista fondata da Charles Blanc nel 1859, e ne assume la direzione insieme a Maurice Cottier e Ernest Hoschedé, un connaisseur amico degli impressionisti. E' allora che decide di farsi fare un ritratto e lo commissiona alla giovane pittrice che, nove anni più tardi, sarebbe divenuta sua moglie. (5)
In comune i due coniugi avevano la passione per ogni tipo di objet d'art, dal primo Rinascimento al Rococò, una curiosa indifferenza per la pittura primitiva che non fosse italiana, e per l'arte contempranea. E', il loro, un gusto un po' desueto per un'epoca in cui collezionisti e amateurs francesi, tedeschi e inglesi si contendevano fondi oro, predelle e tavole dipinte del XIV e del XV secolo, purché “primitive”; si pensi alla formazione delle raccolte di Gustave Dreyfus, Emile Peire, Karol Lanckoronski, Frederick Mason Perkins, Bernard Berenson, o di Isabella Stewart Gardner.

Anche quel “fermare il tempo” della godibilità al Settecento è peculiare degli André, che in contatto con Hoschedé, non potevano ignorare gli impressionisti, non fosse che per il fatto che Nélie si era fatta conoscere esponendo ai Salons parigini, e che nei loro continui soggiorni a Firenze non potevano non aver percepito i cambiamenti che trasformavano la città medievale per darle un'immagine europea.

Anche gli André, come Frederick Stibbert e John Temple Leader preferirono rimanere fedeli alla propria Arcadia interiore, e frequentare la “casa” di Stefano Bardini, (6) che non avventurarsi verso la difficile esperienza della sensibilità moderna, come osarono Egisto Paolo Fabbri e Charles Alexander Loeser quando trasferirono nella città toscana i quadri di Cézanne acquistati a Parigi da Vollard. (7)

Semmai, in comune con tanti protagonisti del collezionismo del secondo Ottocento e dell'inizio del XX secolo, gli André sentirono che dare una “cittadinanza” al proprio patrimonio, procurava una sorta di immortalità; le generazioni precedenti erano ambiziose, ma non facevano donazioni: le loro raccolte venivano vendute all'asta, acquisite dai mercanti e rivendute a nuovi clienti che, attraverso l'investimento in arte, esprimevano il segno tangibile di una raggiunta ascesa sociale. Era la sfida del collezionista verso il tempo e la storia, la stessa che aveva animato tanti parigini negli anni della prosperità franco-prussiana: Isaac de Camondo, Henri Cernuschi, Èmile Guimet, Ernest Cognac, i Rothschild, e americani come Isabella Stewart Gardner e Pierpont Morgan. (8)

L'hôtel parigino degli André iniziò dunque ad essere arredato con opere del Settecento, francese, cui si aggiunsero col tempo dipinti di scuola veneziana e in seguito le raccolte destinate a realizzare una sorta di museo del primo Rinascimento italiano. Gli orientamenti del gusto di Monsieur Èdouard, influenzati dalla compagnia della giovane moglie, furono comunque progressivi, e non esclusero incursioni sul mercato rococò, in particolare veneziano.

Venezia era da sempre una piazza importantissima per il mercato antiquario, ma nell'Ottocento quello degli affreschi era divenuto vivacissimo grazie alla precisione tecnica con cui restauratori specializzati in questo genere di lavori erano in grado di eseguire interventi di trasporto delle policromie dal supporto murario e il loro rimontaggio sulla tela. A questo va aggiunto che il degrado degli immobili, la loro chiusura per buona parte dei mesi invernali, l'erosione dei patrimoni aristocratici, avevano provocato un'offerta abbastanza ampia anche perché le decorazioni in stucco e in pittura esistenti all'interno degli edifici erano generalmente sconosciute.

Da quel rinnovato apprezzamento per l'arte tardo barocca e rococò, la Tiepolo-Renaissance, non restarono immuni gli André. Dell'artista si apprezzavano la ricerca di nuove tecniche, il linguaggio naturalista e la versatilità con cui sapeva trasformare i canoni tradizionali della decorazione sino al limite estremo del virtuosismo. Giovan Battista Tiepolo rappresenta «l'ultimo soffio di felicità in Europa... in paragone la felicità di Fragonard è costruita operando tacite esclusioni. Tiepolo non esclude nulla... neppure Morte, che viene accolta fra i suoi personaggi e non si fa troppo notare ...»; (9) credo fosse questa felicità che cercarono Èdouard e Nélie André quando decisero di intraprendere una acquisizione rischiosa e quasi pionieristica, il trasferimento degli affreschi di Giovan Battista Tiepolo da villa Contarini alla Mira nella capitale francese.

La residenza di Boulevard Haussmann era stata progettata dall'architetto Henri Parent e l'ala del piano terreno, che ospita il giardino d'inverno, collegata col piano superiore da una modernissima escalier. A concludere l'arredo mancavano solo affreschi di una certa importanza. Gli André erano clienti dei più accreditati antiquari italiani: Dino Barozzi a Venezia, Antonio Grandi a Milano, Ciampolini e Stefano Bardini a Firenze, mentre Luigi Cavenaghi garantiva sulle attribuzioni delle opere acquisite nell'Italia settentrionale. (10) Erano dunque introdotti nel milieu più esclusivo del collezionismo del tempo.

Tra il 1892 e il '93 monsieur André è a lungo assente da Parigi, e a Venezia firma il contratto con Dino Barozzi per l'acquisto dei tre affreschi raffiguranti Il Ricevimento di Enrico III nella villa Contarini, La fama che annuncia l'arrivo dell'ospite, e le Figure di spettatori al balcone. La storia è quella del figlio cadetto di Maria de' Medici, che alla morte di Carlo IX, nel 1574, eredita la corona e prepara il rientro a Parigi. Durante il viaggio sosta a Venezia ove il procuratore Federigo Contarini lo invita a visitare villa la Mira, sulle rive del Brenta. Il futuro Enrico III accetta. Due secoli dopo l'immobile è in proprietà Pisani e nel 1745, in occasione delle nozze di Vincenzo I Pisani e Lucrezia Corner, Giovan Battista ottiene la commissione per l'esecuzione degli affreschi.

Gli André volevano gli affreschi a Parigi: l'architettura del giardino d'inverno realizzato nella residenza parigina era basato sull'illusionismo prospettico e sull'effetto scenografico ed aveva “bisogno” di essere completato con una decorazione di grande effetto, capace di fare da filtro fra i saloni del piano terreno, già arredati, e quelli del piano superiore, destinati ad accogliere il “museo italiano”. Nell'idea degli André, gli ospiti sarebbero saliti al piano superiore incantati dalle forme e dai colori della pittura di Tiepolo, per passare negli ambienti “scrigno” dei grandi capolavori del Rinascimento. (11)

Il 12 marzo del 1893 Giuseppe Steffanoni, il più apprezzato restauratore italiano specializzato nel distacco delle pitture murali, (12) firmava a Venezia il contratto per il trasporto di 100 metri quadri di superficie affrescata da Giovan Battista Tiepolo a Villa Contarini, con la clausola che, se si fosse verificato un qualsiasi inconveniente legato alla transazione, non avrebbe ricevuto alcun indennizzo. Il realtà la trattativa si concluse rapidamente con un accordo sul prezzo di 30.000 lire dell'epoca, di cui 3.500 per il distacco. In una lettera dell'11 giugno del 1893 indirizzata a Parigi si legge: «J'ai recu une lettre de Ciampolini et une de Barozzi, qui m'informent que Stefanoni enlevé les fresques. L'opération a pairfetament réussi: il reste à faire le transport sur une autre toile, avant qui sera terminé à la fin de Juillet... ».
Ciampolini, che operava sul mercato fiorentino, era uno dei fornitori abituali degli André, e la sua partecipazione alla transazione è spiegabile con le sue particolari “entrature”, che gli consentirono di ottenere il permesso di esportazione dall'Accademia di Belle Arti di Venezia.

In breve l'opera del Tiepolo, "extirpée d'Italie", avvolti su rulli lunghi 25 metri, furono trasferiti a Parigi per ferrovia, dove arrivarono nell'autunno. Nel 1896 la Gazette pubblicava Les Tiepolo de l'hôtel d' Edouard André, definendoli i pezzi più straordinari dell'intera collezione. Ormai quasi tutte le acquisizioni dei mecenati parigini avevano eco sulla stampa del tempo: il 29 settembre del 1893 era la volta di due tele eseguite nell'atelier di Giovan Battista e poco dopo dell' Apoteosi di Ercole -un dipinto poi modificato nel formato dal restauratore di fiducia di Nélie, Chartrain - e della tela con La Giustizia e la Pace provenienti da Palazzo Revedin, già Cornaro. (13)

Gli André sembravano quasi voler preparare la cerchia dei conoscitori che frequentavano abitualmente all'apertura di una residenza-rivelazione, e probabilmente non furono soli nelle loro scelte; Nicolas Sainte Fare Garnot ha osservato nel suo saggio che, almeno per quanto riguarda la collezione di sculture e in particolare di bronzetti destinati a diventare il “museo del Rinascimento”, Nélie ebbe come consigliere di fiducia Louis Courajod e credo che un ruolo non meno importante abbiano avuto Wilhelm von Bode e Stefano Bardini.

Bode non era nuovo ad incursioni sul mercato italiano; il Kunstkenner, soggiornava spesso a Venezia e dalla città lagunare fece trasferire a Berlino decine di oggetti di arredo, portali, mobili, cornici, manufatti pregiati di cui ci si poteva disfare facilmente realizzando rapidi guadagni. Ma il suo maggior successo fu forse l'acquisizione della cosiddetta Tiepolo-Zimmer, una decorazione affrescata proveniente da Palazzo Volpato Panigai a Nervesa, dipinta da Giovan Battista e Domenico Tiepolo.

L'operazione conclusa da Bode è di solo 4 anni successiva a quella degli André. I ventidue monocromi (La stanza dei Satiri) furono acquistati tramite l'antiquario Antonio Carrer ed erano destinati a colmare una delle lacune più vistose del Kaiser-Friedrick Museum, il Settecento veneziano. Una volta a Berlino, gli affreschi, eseguiti su fondo oro, furono ricollocati in un piccolo gabinetto di cui coprivano il soffitto e parte delle pareti, a suscitare l'effetto di un ambiente del Settecento. Alla vigilia della seconda guerra mondiale la camera fu smontata e ne sono sopravvissuti solo sei frammenti.

Questa “coincidenza” non è l'unica che fa pensare ad un rapporto fra Bode e gli André. Il conoscitore tedesco, il cui primo viaggio ufficiale in Italia con l'incarico di acquisire capolavori per il museo di cui gli era stata affidata la direzione, risale al 1872, anno nel quale acquistò il Ritratto di Botanico di Giovan Battista Moroni dalla collezione Riblet a Firenze. Come gli André fu assiduo cliente di Stefano Bardini, (14) che nel settimo quarto del XIX secolo era antiquario di fama internazionale. Presso Bardini Bode aveva acquistato mobilia, sculture in marmo, terrecotte, stucchi e la celebre Dormitio Virginis che Arnolfo aveva scolpito per la facciata di Santa Maria del Fiore, distrutta durante la seconda guerra mondiale.

Analogamente, Èdouard e Nélie acquistarono sia da Riblet -ricordo la Madonna col Bambino e San Giovannino attribuita a Filippo Lippi - che da Bardini e dai suoi fornitori, fra i quali si contano famosi antiquari : Salvadori e Barozzi a Venezia, Borghesani, Angiolini, Rambaldi a Bologna, i fratelli Jandolo a Roma. I loro rapporti sono testimoniati, oltre che dalle numerosissime fatture conservate presso l'archivio del Jacquemart-André, che attestano come i coniugi attinsero largamente per i loro acquisti di pregevoli sculture fiorentine, di oggetti di arte minore e di quadri d'alta epoca alla galleria di piazza de'Mozzi, dal fatto che l'arredo delle sale del “museo italiano” ricostruito in Boulevard Haussmann sembra modellarsi sugli allestimenti prediletti dall'antiquario fiorentino.

Dalle foto d'epoca si intuisce che palazzo Bardini era improntato ad un gusto abbastanza carico, che privilegiava le soluzioni di effetto, ove mobili, soffitti, vetrate, sculture e dipinti rinascimentali si alternavano alla mobilia barocca e tardo impero francese: un' affinità notata da Bernard Berenson, che ne parla -non senza malizia- in una lettera ad Isabella Stewart Gardner, al cui servizio aveva posto la sua esperienza di storico dell'arte. (15)

Anche i cataloghi delle raccolte private costituitesi a Firenze fra Otto e Novecento e quelli delle vendite all'asta sono specchio fedele del gusto degli stranieri che vissero o soggiornarono a lungo nella città toscana, delle loro frequentazioni, dei loro scambi, delle esperienze comuni. Per Wilhelm von Bode la collezione ideale era quella che abbracciava le tipologie più svariate di manufatti artistici ed è significativo che la raccolta André rappresenti per l'appunto, opere diverse per tecnica e materiale, ma anche per formato e iconografia.

Credo che la predilezione di Nélie Jacquemart per le collezioni di bronzetti, medaglie, placchette, mortai, sculture in marmo e maioliche, non si spiegherebbe senza la conoscenza di Bode, così come la decisione di allestire le “sale italiane” secondo tre percorsi (scultura, biblioteca e pittura del Quattrocento) sia il frutto della sua consuetudine con Louis Courajod, cui si deve la costituzione di un dipartimento dedicato alla scultura italiana d'alta epoca al Museo del Louvre.

Gli scritti dedicati da Bode all'arte toscana del Rinascimento sono concepiti come rassegne sistematiche, sempre organizzate per tipologie -sculture in marmo, bronzetti, maioliche, mobili- e danno la percezione di quella che “doveva” essere una raccolta d'arte tardo ottocentesca. I saggi sulla scultura in metallo, sulle Bronzenfigürchen e sui mobili, sulle maioliche e sulle robbiane, i cataloghi della collezione Hainauer, Simon e Hollitscher di Berlino, Huldschinsky a Francoforte, Pierpont Morgan e Beit, anticipano la metodologia di un'intera “scuola” che si sarebbe formata intorno alla sua esperienza. (16) Ma sono anche lo specchio delle raccolte dei suoi amici.

Il saggio su Bertoldo di Giovanni, del 1895, un artista rappresentato nella collezione André dalla Fiura maschile stante entro una corona d'alloro e dalla medaglia con Lorenzo e Giuliano de' Medici, (cat. 1.18), si apre con una intrigante descrizione della lievitazione dei prezzi della scultura “in piccolo” sul mercato antiquario, e con la constatazione del completo disinteresse della ricerca per quei piccoli, straordinari capolavori. Dalle pagine trapela la sua ammirazione per le figure dell'allievo di Donatello, ma non solo, per Bartolomeo Bellano, Andrea Riccio, Cristoforo Caradosso, Andrea Pollaiolo, Jacopo Sansovino, per Benvenuto Cellini e Giambologna, naturalmente, ma anche per i loro allievi, a cominciare da Antonio Susini, artisti tutti rappresentati nella collezione.

E non poteva essere diversamente: il bronzetto nasce per il collezionismo privato, per un gusto intimistico, spesso la scelta del soggetto deriva dallo stretto rapporto fra artista e committente, è un oggetto pensato per essere osservato da vicino, maneggiato. La qualità di queste piccole sculture è notevolissima; modellate com'erano per essere osservate da una molteplicità di punti di vista, dovevano essere perfettamente rifinite e, anche se ottenute da leghe di consueta composizione, venivano patinate intenzionalmente per ottenere particolari effetti coloristici. Si va dalle coloriture nere, a quelle dorate, fino alla caratteristica tonalità delle patine translucide tipiche della produzione del Gianbologna e della sua scuola, alle patine verdi, usate soprattutto sui bronzetti all'antica. Sempre alla ricerca del massimo preziosismo, e della perfezione nelle finiture, gli scultori si avvalevano non di rado della collaborazione di abili orefici. Così il bronzo, ricorda Vasari, « ... alcuni con olio lo fanno venire nero, altri con l'aceto lo fanno venire verde, et altri con la vernice li danno il colore di nero... ».(17)

In fondo anche la riscoperta di Donatello si deve, almeno in parte, al collezionismo privato; nella sua monografia sull'artista pubblicata a Parigi nel 1885, Eugène Müntz riconosceva al gusto amatoriale il merito della “réhabilitation” dell'artista: « ... dans cette oeuvre de réhabilitation, les amateurs et le public on marché plus vie que les historiens d'art: ce sont des précurseurs dans leur genre que le collectionneurs èmèrites qui ont, les premiers, deviné le génie du maître et à qui nous devons de posséder, de ce côté-ci des Alpes, un si grand nombre de ses chefs-d'oeuvre ... M.M. Piot, His de la Salle, Robinson, Timbal, Èdouard André, Gustave Dreyfus ... Alors que, grâce à leur généreuse initiative, le nom de Donatello a recouvré toute sa popularité, même auprès des gens du monde, on chercherait en vain dans nos bibliothèques quelque travail d'ensemble sur ce génie si fécond et si varié ... » (18)

I coniugi André possedevano varie opere attribuite al maestro: fra le placchette di soggetto religioso, due esemplari rappresentanti la Vergine col Bambino, uno in bronzo e l'altro in rame, entrambi dorati, oggi riconosciuti come repliche da originali donatelliani, (cat. 1.1, 1.2), potrebbero essere stati ascritti al maestro negli anni ottanta del XIX secolo. Nel dicembre 1886 alla vendita Signol a Parigi comparvero due Angeli portacandelabro attribuiti a Donatello, ma Madame André li acquistò solo nel 1893 alla vendita Piot, catalogati da Bonaffé e individuati come gli angeli descritti nel XVII secolo facenti parte della cantoria di Luca della Robbia, ancora nel Duomo di Firenze.

Una prudente attesa, che conferma l'abilità di Nélie e i suoi rapporti con i maggiori specialisti di scultura del tempo. La controversia sull'attribuzione dei due piccoli bronzi è ancora aperta: Pope-Hennessy li riferisce a Luca della Robbia, Giancarlo Gentilini ritiene che debbano essere mantenuti in ambito donatelliano ma che siano da riferire a Maso di Bartolomeo, collaboratore di Luca nella cantoria; in ogni caso, a fronte del gran numero di repliche di modesta qualità e di falsi che circolavano sul mercato antiquario, il gusto e l'occhio di madame André si rivelano decisamente all'altezza della sua fama. (19)

Dopo l'esposizione donatelliana organizzata da Marco Guastalla nella sua abitazione fiorentina nel 1861, nella quale il maestro fu presente grazie a molti prestatori privati, si assiste a un crescente interesse del collezionismo per la scultura e i suoi materiali, per le sue possibilità di resa formale e volumetrica, legate all'abilità e al virtuosismo dell'artista. Il nuovo gusto per tipologie di oggetti “minori” fu la rivelazione della "Mostra del Medio Evo" organizzata al Bargello nel 1865. Nelle sale del primo e del secondo piano dell'edificio da poco restaurato “nello stile antico”, furono esposte opere di Donatello o attribuite al maestro, e poi argenti, avori, bronzi e oreficerie, mobili e cornici, ferro battuto, mortai, pietre dure, tappeti e tessuti, a confermare un'attenzione del tutto nuova, almeno per Firenze, nei confronti di materiali e tecniche diverse da quelle della pittura.
La città era ormai battuta da collezionisti di tutta Europa, molti dei quali indirizzati verso la scultura del Quattrocento, un fatto che giustifica l'inflazione attributiva di opere di Donatello e il proliferare di scultori specializzati in imitazioni, copie e falsificazioni di lavori del XV secolo. In questo gusto si muovono anche gli André, di cui sono noti i lunghi soggiorni a Firenze, per quanto molte opere siano entrate nella collezione attraverso le vendite di Eugène Piot, che si riforniva nella città toscana e rivendeva nella capitale francese, e di Bardini.

Fino dagli anni settanta del Novecento, Bardini portava all'estero almeno due volte l'anno una scelta selezionata delle sue opere, per trattarne la vendita con i più accreditati antiquari: Trotti, Seligmann, Goldschmidt, Duveen, per fare qualche nome. Non sappiamo ancora se questa attività, per lo meno a Parigi, si svolgesse in qualche palazzo di esposizione, o all'Hôtel Drouot, ma dal dal 1885 l'antiquario pubblicava i cataloghi delle sue vendite a Parigi e, dopo l'asta, riuscitissima, dedicata alle medaglie italiane del Rinascimento, organizzava una grandiosa vendita di sculture, mobili, dipinti e arti minori presso Christie a Londra. (20)

Il Martirio di San Sebastiano di Donatello (cat. 4.1) comparve sul mercato parigino in occasione della vendita Piot del 1864 e passò nelle mani di Fournier ove rimase fino al 1872; la placchetta in bronzo dorato fu riconosciuta a Donatello da Courajod nel 1884. Il funzionario del Musée du Louvre amico e consulente di Nélie André fu anche il primo studioso a identificare i disegni da mettere in relazione con l'opera, e a suggerire una committenza della famiglia Gaddi di Firenze. Il rilievo, di fattura così squisita da impegnare i maggiori studiosi di Donatello in un lungo dibattito attributivo, (21) è concordemente riferita al periodo padovano del maestro, e forse ispirato all'iconografia di antichi sarcofagi romani. In particolare la scena raffigurante Apollo e Marsia, con il putto alato che pone sul capo di Apollo una ghirlanda in segno di vittoria, potrebbe essere stata l'archetipo cui si è ispirato il maestro per la piccola composizione. «In casa Medici, nel primo cortile -così Vasari nella Vita di Donato- sono otto tondi di marmo, dove sono ritratti cammei antichi e rovesci di medaglie, ed alcune storie fatte da lui molto belle; i quali sono murati nel fregio fra le finestre e l'architrave sopra gli archi delle loggie: similmente la restaurazione d'un Marsia, in marmo bianco antico, posto all'uscio del giardino...» (22) e ancora Vasari ricorda che il maestro aveva eseguito un San Sebastiano in legno per un monastero femminile fiorentino.

La preziosa placchetta fu esposta a Parigi all'Exposition Universelle du Trocadéro nel 1878 e, in seguito, solo a Wildenstein U.S.A, nel 1955; fino ad oggi non era mai tornata a Firenze.

Analogamente i due pannelli di cassoni raffiguranti la Battaglia di Pidna e un Trionfo di Lucio Emilio Paolo (cat. 4.2, 4.3) eseguiti a Firenze nella bottega del Verrocchio su committenza Mannelli, e riconosciuti di mano del maestro dopo il restauro, non erano più tornati a casa: Vivono al Jacquemart-André uno splendido esilio, un esilo dorato.

La collezione messa insieme da Edouard e Nélie è una raccolta di capolavori, sottratti a Firenze per amore, ma è anche, soprattutto l'immagine che di Firenze e dell'Italia ebbero i più scelti conoscitori del tardo Ottocento. Non si spiegherebbe altrimenti la collezione di bronzetti, oggetti ben lontani dalle sculture monumentali, prodotto dell'arte pubblica e destinate a comunicare un messaggio politico. Oggetti a tutto tondo, ove il rilievo varia di gradazione e consente il raggruppamento di più statuette contro un fondo neutro, “inventati” dall'arte toscana. Neppure si spiegherebbe l'aver intuito la qualità delle raffinate sculture di Bertoldo, allievo di Donatello e unico bronzista che compare nell'inventario redatto in morte di Lorenzo de' Medici, cui lo stesso Michelangelo fu debitore, segnale di una sensibilità attenta ed esercitata.

L'amore per le placchette, opere derivate da antichi cammei e gemme incise e spesso ottenute da un calco diretto, denotano l'apprezzamento -un nuovo umanesimo- di tutto ciò che era “derivato d'antico”, e quasi un desiderio di identificazione nel mecenatismo dei grandi collezionisti del Rinascimento. Sulle mura del palazzo mediceo di via Larga, che oggi ospita la raccolta André, nel 1452 Maso di Bartolomeo aveva eseguito otto medaglioni, sette dei quali ispirati a gemme antiche.

Il gusto per le medaglie, una forma d'arte abbastanza recente, la più vicina per gusto e forma alla glittica e alla numismatica antica, aveva nel Rinascimento una grande importanza per i suoi molteplici significati: la medaglia era il modo più semplice per i personaggi illustri di far conoscere e diffondere la propria effigie e, di conseguenza, la propria fama. Era arte e storia, vita e cronaca; Lorenzo de' Medici, di cui la scultura fu forse l'arte prediletta, ne aveva possedute quasi duemila. Nella collezione André compaiono le effigi di personaggi simbolo del Rinascimento, l'Aretino, Leonello d'Este, Lorenzo e Giuliano de'Medici, il papa Medici Leone X, realizzate da artisti famosi: Benvenuto Cellini, Pisanello, Francesco da Sangallo, Matteo de' Pasti.

Infine, nella “casa” del Rinascimento italiano lasciata dagli André a Parigi non poteva mancare un ritratto di Michelangelo, un bronzo autografo eseguito da Daniele da Volterra, l'artista “amico di Michelangelo”, acquistato da Èdouard nel 1878, testimone del viaggio ideale dei due amateurs nell'arte e nella storia.

Il generoso prestito che l'Institut de France e Nicolas Sainte Fare Garnot hanno voluto concedere a palazzo Medici Riccardi, residenza della prima dinastia medicea, un tempo arredata con le opere dei migliori artisti del Quattrocento, è dunque breve, simbolico, atteso, ritorno a casa dei nostri capolavori.

Note
(1) Cfr. E. Bertaux, Le Musée Jacquemart-André. Guide illustré, Paris 1913.
(2) Cfr. J. de Foville, L'Art chrétien au musée Jacquemart-André, in «Revue de l'Art Chrétien», LXIV, 1914, pp. 1-16; E. Hancke, Das Museum Jacquemart-André, in «Kunst und Kunstler», XII, 1914; G. Lafenestre, La Peinture au musée Jacquemart-André, in «Gazette des Beaux-Arts», II, 1913, p. 437 e ivi, XI, 1914, pp. 32-50; A. Michel, La Sculpture au Musée Jacquemart-André, ivi, II, 1913, pp. 465 e XI, 1914, pp. 51-68.
(3) A. Venturi, Una risorta casa del Rinascimento italiano (Il museo André a Parigi), in «L'Arte», XVII, 1, 1914, pp. 48-75.
(4) Per la personalità di Nélie Jacquemart si rimanda al saggio di Nicolas Sainte Fare-Garnot del catalogo della Mostra ed. Mandragola 2007; si veda anche il numero speciale della Gazette des Beaux-Arts, VI, CXXXV, 1995.
(5) Quando Cottier, a sua volta collezionista e pittore dilettante, decise di vendere la sua quota della Gazette, Monsieur André ne divenne il proprietario di maggioranza, e, con il matrimonio, Nélie entrò a far parte della direzione. Cfr. F. Souchal, Monsieur et Madame André et la Gazette, in «Gazette des Beaux-Arts», VI, CXXV, février 1995, pp. 59-64.
(6) Il rapporto degli André con l'antiquario Stefano Bardini è stato ricordato da C. De Benedictis, in Il Museo Bardini a Firenze, I, Milano 1984, p. 111.
(7) Le figure di Egisto Paolo Fabbri e di Charles Alexander Loeser sono oggi (maggio 2007) al centro dell'attenzione: alle loro raccolte è dedicata la mostra Cèzanne a Firenze. Due collezionisti e la mostra dell'impressionismo del 1910, aperta a Palazzo Strozzi fino al 29 luglio.
(8) Una lettura molto felice del fenomeno del collezionismo è stata data da Francesca Molfino e Alessandra Mottola Molfino in Il possesso della bellezza. Dialogo sui collezionisti d'arte, Torino 1997.
(9) Cfr. R. Calasso, Rosa Tiepolo, Milano 2006, pp. 17-18.
(10) Per Luigi Cavenaghi cfr. C. Giannini, in Dizionario degli artisti di Caravaggio e Treviglio, Treviglio 1994, pp. 73-77; Luigi Cavenaghi e i maestri dei tempi antichi. Pittura, restauro e conservazione dei dipinti tra Ottocento e Nocevento, a cura di A. Civai e S. Muzzin, Bergamo 2006.
(11) Cfr. N. Sainte Fare Garnot, Les Tiepolo du Musée Jacquemart-André, in Giambattista Tiepolo nel terzo centenario della nascita. Atti del Convegno Internazionale di Studi (1996), Venezia 1998, pp. 51-62; C. Giannini, Affreschi di Giovan Battista Tiepolo: dalle ville venete alle residenze europee. Proprietari, restauratori, clienti, ivi, pp. 313-319
(12) Per Giuseppe Steffanoni cfr. C. Giannini, L'attimo fuggente. Storie di collezionisti e mercanti, Bergamo 2002.
(13) Per maggiori dettagli sulle acquisizioni veneziane cfr. C.Giannini, 2002, pp.103-136.
(!4) Per Stefano Bardini si veda C.De Benedictis, F. Scalia, Il Museo Bardini, 1984.
(15) Cfr. M. Secrest, Being Bernard Berenson. A Biography, London 1980, p.212.
(16) W. Bode, Bertoldo di Giovanni und seine Bronzebildwerke, in «Jahrbuch der Königlich Preussischen Kunstsammlungen», 1895, III. IV, pp.1-17; Florentiner Bronzestatuetten in der Berliner Museen, in «Jahrbuch der Königlich Preussischen Kunstsammlungen», 1, 1902, pp.1-12; Die Italienische Hausmöbel der Renaissance, Leipzig, s.d.; Die Italienische Bronzestatuetten der Renaissance, Berlin 1907; Die Anfänge der Majolikakunst in Toskana, Berlin 1911; Denkmäler der Renaissance-Skulptur Toskanas, München 1892-190; un'ampia sezione della biblioteca di Bode era formata da cataloghi di collezioni e di aste. L'ambiente berlinese dei primi decenni del Novecento, che ruotò intorno alla figura del grande studioso, è rappresentato da Max J. Friedländer e dall'interessante personalità di un mercante d'arte, Paul Cassirer. Le premesse metodologiche della sua scuola furono sviluppate dalle riviste Jahbuch e Kunst und Kunstler.
(17)G. Vasari, Le Vite de' più eccellenti Pittori, Scultori ed Architettori, riviste et ampliate,3 voll., in Fiorenza, appresso i Giunti, ed. in Id., Le Vite... nelle redazioni del 1551 e 1568, a cura di R. Bettarini, commento secolare di P. Barocchi, 6 voll., Firenze 1966-1987, I, p. 103

(18) Cfr. E. Müntz, Donatello, Paris 1885, p. 4.
(19) Cfr. Donatello e i suoi. Scultura fiorentina del primo Rinascimento, catalogo della mostra a cura di A.P. Darr e G. Bonsanti, Milano 1986, pp. 202-203; Omaggio a Donatello, a cura di P. Barocchi, G. Gaeta Bertelà, G. Gentilini, B. Paolozzi Strozzi, Firenze, 1986, pp. 381-383.
(20) Cfr. Medailles de la Renaissance. Collection de M. Stefano Bardini de Florence, Hotel des Commisseurs-Priseurs, Rue Druot 9, Paris 1885; Catalogue des Objects d'Art Antiques du Moyen Age et de la Renaissance provenant de la Collection Bardini de Florence, Christie, London 1889.
(21) Si veda F. de La Moureyre-Gavoty, Inventaire des collections publiques françaises 19. Institut de France. Sculpture italienne, Paris 1975; A.P. Darr, in Donatello..., 1986, pp. 163-164
(22)
G. Vasari 1568, ed. Bettarini-Barocchi, 1966-1987, III, p. 211.
Il Marsia di marmo bianco proveniente dall'ala di ponente della Galleria degli Uffizi, ora al Bargello, di debole fattura, non può essere identificato con l'esemplare restaurato da Donatello.

Eventi in Palazzo Medici Riccardi
- Donatello e una casa del Rinascimento
-Il suo contributo di Cristina Giannini

linea linea linea
www.zoomedia.it pubblicazione registrata al Tribunale di Firenze n° 5555 del 20/02/2007
© zoomedia 2007 - 2016 Copyrights - Tutela della privacy - Abbonamenti - Contributi - Pubblicità
Pagina pubblicata il 11-05-2007 - Aggiornato il 14-Mag-2008