Donatello e una "casa" del
Rinascimento
Capolavori dal Jacquemart Andrè"
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I bronzi della collezione degli Andrè: statuette riprodotte
sullo stile del Giambologna, del Pollaiolo, di Michelangelo ... "Donatello
e una casa del Rinascimento" - Firenze
Dall'arredo al museo
La residenza di Edouard André e Nélie Jacquemart di
Cristina Giannini
Il
Jacquemart-André fu
inaugurato il 9 dicembre del 1913: il museo, situato in una invidiabile posizione
sul Boulevard Haussmann di Parigi, era stato residenza di Edouard André e
di sua moglie Nélie Jacquemart che, nel 1912, aveva donato all'Institut
de France la palazzina e le raccolte di objets d'art frutto di quarant'anni
di viaggi e di ricerche, con la clausola di conservare intatta la collezione
nel
suo allestimento originario.
L'apertura del museo, la generosa donazione era
già annunciata da "L'Illustration"
il 25 maggio 1912, fu l'evento forse più felice dell'anno per il mondo
dell'arte parigino. Ne era stato nominato direttore Emile Bertaux, eccellente
conoscitore e docente di Storia dell'Arte all'Università di Lione,
che aveva subito provveduto a redigere un catalogo della collezione, ricchissima
di dipinti, sculture, mobili, bronzetti, medaglie, placchette, terrecotte,
robbiane, strumenti musicali, libri miniati, disegni e quant'altro poteva
corrispondere
al sogno dei coniugi André di realizzare il primo museo di arti decorative
in Francia. (1)
Bulloz fu incaricato di eseguire la campagna fotografica
che documentasse lo straordinario patrimonio e l'allestimento originale
delle
sale e, fra
il 1913
e il '14, le raccolte iniziarono a essere studiate in modo metodico e i
primi saggi dedicati alle collezioni di pittura e di scultura apparvero
su la Gazette
des Beaux-Arts, ne la Revue de l'Art Chrétien, in Kunst und Kunstler.
(2) Qualche mese prima della “vernice”, Adolfo Venturi era
a Parigi, ospite di Bertaux, che aveva messo a disposizione dell'illustre
collega le
raccolte e l'archivio fotografico.
Nel primo numero de L'Arte del 1914 lo
studioso pubblicava uno scritto sulla «risorta
casa del Rinascimento italiano», (3) sedotto dalla quantità e
dalla squisita fattura degli stipi, dei cassoni, dei leggii, di placchette
e medaglie
e soprattutto da un Martirio di San Sebastiano «crudo, spasmodico,
degno di Donatello».
Ciò che aveva sentito Venturi, nella
residenza Jacquemart, era la sensazione, che ancora pervade il visitatore, “di
un disordine pieno di suggerimenti”,
nato dal capriccio, dal desiderio di godibilità, dall'amore
per la bellezza, dal gusto di collezionare, la percezione di un museo
che
restava “profano” nonostante
la forte presenza di capolavori di soggetto sacro.
Le raccolte dell'hôtel
parigino -in apparenza fin troppo eccentriche- sono il frutto di
due personalità diverse per provenienza, formazione, età e
gusto; Edouard André veniva da una famiglia di banchieri collezionisti
dalla quale aveva ereditato la passione per la pittura francese del
Settecento, per il rocaille e il neoclassicismo; sua moglie
Nélie,
ritrattista di successo anche se di umili origini, aveva studiato
con Léon Cogriet,
membro dell'Institut de France e professore all'École des
Beaux Arts di Parigì, era a Roma nel 1867, e si era invaghita
dell'arte italiana. (4)
Nel 1872 Èdouard ha abbandonato gli incarichi
politici; dispone di un cospicuo patrimonio, frequentava la società più scelta
di Parigi ed é in contatto con conoscitori di tutta Europa; diviene
presidente dell'Union Centrale
des Arts Décoratifs, acquista una quota della " Gazette
des Beaux-Arts", la prestigiosa rivista fondata da Charles Blanc
nel 1859, e ne assume la direzione
insieme a Maurice Cottier e Ernest Hoschedé, un connaisseur amico
degli impressionisti. E' allora che decide di farsi fare un ritratto
e lo commissiona
alla giovane pittrice che, nove anni più tardi, sarebbe
divenuta sua moglie. (5)
In comune i due coniugi avevano la passione per ogni tipo di objet
d'art, dal primo Rinascimento al Rococò, una curiosa indifferenza
per la pittura primitiva che non fosse italiana, e per l'arte contempranea.
E', il loro, un
gusto un po' desueto per un'epoca in cui collezionisti e amateurs francesi,
tedeschi e inglesi si contendevano fondi oro, predelle e tavole
dipinte del XIV e del
XV secolo, purché “primitive”; si pensi alla
formazione delle raccolte di Gustave Dreyfus, Emile Peire, Karol
Lanckoronski, Frederick Mason
Perkins, Bernard Berenson, o di Isabella Stewart Gardner.
Anche
quel “fermare il tempo” della godibilità al
Settecento è peculiare
degli André, che in contatto con Hoschedé, non
potevano ignorare gli impressionisti, non fosse che per il fatto
che Nélie
si era fatta conoscere esponendo ai Salons parigini, e che nei
loro continui soggiorni a Firenze
non potevano non aver percepito i cambiamenti che trasformavano
la città medievale
per darle un'immagine europea.
Anche gli André, come Frederick
Stibbert e John Temple
Leader preferirono rimanere fedeli alla propria Arcadia interiore, e
frequentare la “casa” di
Stefano Bardini, (6) che non avventurarsi verso la difficile
esperienza della sensibilità moderna,
come osarono Egisto Paolo
Fabbri e Charles Alexander Loeser quando trasferirono nella città toscana
i quadri di Cézanne acquistati
a Parigi da Vollard. (7)
Semmai, in comune con tanti protagonisti
del collezionismo del secondo Ottocento e dell'inizio del XX
secolo, gli André sentirono che dare una “cittadinanza” al
proprio patrimonio, procurava una sorta di immortalità;
le generazioni precedenti erano ambiziose, ma non facevano donazioni:
le loro raccolte venivano
vendute all'asta, acquisite dai mercanti e rivendute a nuovi
clienti che, attraverso l'investimento in arte, esprimevano il
segno tangibile di una raggiunta ascesa
sociale. Era la sfida del collezionista verso il tempo e la storia,
la stessa che aveva animato tanti parigini negli anni della prosperità franco-prussiana:
Isaac de Camondo, Henri Cernuschi, Èmile Guimet, Ernest Cognac,
i Rothschild, e americani come Isabella Stewart Gardner e Pierpont
Morgan. (8)
L'hôtel parigino degli André iniziò dunque
ad essere arredato con opere del Settecento, francese, cui si
aggiunsero col tempo dipinti di scuola
veneziana e in seguito le raccolte destinate a realizzare una
sorta di museo del primo Rinascimento italiano. Gli orientamenti
del gusto di Monsieur Èdouard,
influenzati dalla compagnia della giovane moglie, furono comunque
progressivi, e non esclusero incursioni sul mercato rococò,
in particolare veneziano.
Venezia era da sempre una piazza importantissima
per il mercato antiquario, ma nell'Ottocento quello degli affreschi
era divenuto
vivacissimo
grazie alla precisione
tecnica con cui restauratori specializzati in questo genere di
lavori erano in grado di eseguire interventi di trasporto delle
policromie
dal supporto
murario
e il loro rimontaggio sulla tela. A questo va aggiunto che il
degrado degli immobili, la loro chiusura per buona parte dei
mesi invernali,
l'erosione
dei patrimoni
aristocratici, avevano provocato un'offerta abbastanza ampia
anche perché le
decorazioni in stucco e in pittura esistenti all'interno degli
edifici erano generalmente sconosciute.
Da quel rinnovato apprezzamento
per l'arte tardo barocca e rococò, la Tiepolo-Renaissance,
non restarono immuni gli André. Dell'artista
si apprezzavano la ricerca di nuove tecniche, il linguaggio naturalista
e la versatilità con
cui sapeva trasformare i canoni tradizionali della decorazione
sino al limite estremo del virtuosismo. Giovan Battista Tiepolo
rappresenta «l'ultimo
soffio di felicità in Europa... in paragone la felicità di
Fragonard è costruita
operando tacite esclusioni. Tiepolo non esclude nulla... neppure
Morte, che viene accolta fra i suoi personaggi e non si fa troppo
notare ...»; (9) credo fosse
questa felicità che cercarono Èdouard e Nélie
André quando
decisero di intraprendere una acquisizione rischiosa e quasi
pionieristica, il trasferimento degli affreschi di Giovan Battista
Tiepolo da villa Contarini alla
Mira nella capitale francese.
La residenza di Boulevard Haussmann
era stata progettata dall'architetto Henri Parent e l'ala del
piano terreno, che ospita il giardino
d'inverno, collegata
col piano superiore da una modernissima escalier. A
concludere l'arredo mancavano solo affreschi di una certa importanza.
Gli
André erano clienti dei più accreditati
antiquari italiani: Dino Barozzi a Venezia, Antonio Grandi a
Milano, Ciampolini e Stefano Bardini a Firenze, mentre Luigi
Cavenaghi garantiva sulle attribuzioni
delle opere acquisite nell'Italia settentrionale. (10) Erano
dunque introdotti nel milieu più esclusivo del
collezionismo del tempo.
Tra il 1892 e il '93 monsieur André è a
lungo assente da Parigi, e a Venezia firma il contratto con Dino
Barozzi per l'acquisto dei tre affreschi
raffiguranti Il Ricevimento di Enrico III nella
villa Contarini, La fama che annuncia l'arrivo dell'ospite,
e le Figure di spettatori al balcone.
La storia è quella del figlio cadetto di
Maria de' Medici, che alla morte di Carlo IX, nel
1574, eredita la corona e prepara il rientro
a Parigi. Durante il viaggio sosta a Venezia ove il procuratore
Federigo Contarini lo invita a visitare villa la Mira, sulle
rive del Brenta. Il futuro Enrico III
accetta. Due secoli dopo l'immobile è in proprietà Pisani
e nel 1745, in occasione delle nozze di Vincenzo I Pisani e Lucrezia
Corner, Giovan
Battista ottiene la commissione per l'esecuzione degli affreschi.
Gli
André volevano gli affreschi a Parigi: l'architettura
del giardino d'inverno realizzato nella residenza parigina era
basato sull'illusionismo prospettico
e sull'effetto scenografico ed aveva “bisogno” di
essere completato con una decorazione di grande effetto, capace
di fare da filtro fra i saloni
del piano terreno, già arredati, e quelli del piano superiore,
destinati ad accogliere il “museo italiano”. Nell'idea
degli André,
gli ospiti sarebbero saliti al piano superiore incantati dalle
forme e dai colori della pittura di Tiepolo, per passare negli
ambienti “scrigno” dei
grandi capolavori del Rinascimento. (11)
Il 12 marzo del 1893
Giuseppe Steffanoni, il più apprezzato restauratore
italiano specializzato nel distacco delle pitture murali, (12)
firmava a Venezia il contratto per il trasporto di 100 metri
quadri di
superficie affrescata da
Giovan Battista Tiepolo a Villa Contarini, con la clausola che,
se si fosse verificato un qualsiasi inconveniente legato alla
transazione, non avrebbe ricevuto alcun
indennizzo. Il realtà la trattativa si concluse rapidamente
con un accordo sul prezzo di 30.000 lire dell'epoca, di cui 3.500
per il distacco. In una lettera
dell'11 giugno del 1893 indirizzata a Parigi si legge: «J'ai
recu une lettre de Ciampolini et une de Barozzi, qui m'informent
que Stefanoni enlevé les
fresques. L'opération a pairfetament réussi: il
reste à faire
le transport sur une autre toile, avant qui sera terminé à la
fin de Juillet... ».
Ciampolini, che operava sul mercato
fiorentino, era uno dei fornitori abituali degli André,
e la sua partecipazione alla transazione è spiegabile
con le sue particolari “entrature”, che gli consentirono
di ottenere il permesso di esportazione dall'Accademia di Belle
Arti di Venezia.
In breve l'opera del
Tiepolo, "extirpée d'Italie",
avvolti su rulli lunghi 25 metri, furono trasferiti a Parigi
per ferrovia, dove arrivarono nell'autunno.
Nel 1896 la Gazette pubblicava Les Tiepolo de l'hôtel
d' Edouard André,
definendoli i pezzi più straordinari dell'intera collezione.
Ormai quasi tutte le acquisizioni dei mecenati parigini avevano
eco sulla stampa del tempo:
il 29 settembre del 1893 era la volta di due tele eseguite nell'atelier
di Giovan Battista e poco dopo dell' Apoteosi di Ercole -un dipinto
poi modificato nel
formato dal restauratore di fiducia di Nélie, Chartrain
- e della tela con La Giustizia e la Pace provenienti da Palazzo
Revedin, già Cornaro. (13)
Gli André sembravano
quasi voler preparare la cerchia dei conoscitori che frequentavano
abitualmente all'apertura di una residenza-rivelazione, e probabilmente
non furono soli nelle loro scelte; Nicolas Sainte Fare Garnot
ha osservato nel
suo saggio che, almeno per quanto riguarda la collezione di sculture
e in particolare di bronzetti destinati a diventare il “museo
del Rinascimento”, Nélie
ebbe come consigliere di fiducia Louis Courajod e credo che un
ruolo non meno importante abbiano avuto Wilhelm von Bode e Stefano
Bardini.
Bode non era nuovo ad incursioni sul mercato italiano;
il Kunstkenner, soggiornava spesso a Venezia e dalla
città lagunare
fece trasferire a Berlino decine di oggetti di arredo, portali,
mobili,
cornici, manufatti pregiati di cui ci
si poteva disfare facilmente realizzando rapidi guadagni. Ma
il suo maggior successo fu forse l'acquisizione della cosiddetta
Tiepolo-Zimmer, una decorazione affrescata
proveniente da Palazzo Volpato Panigai a Nervesa, dipinta da
Giovan Battista e Domenico Tiepolo.
L'operazione conclusa da
Bode è di solo 4 anni successiva a quella degli
André. I ventidue monocromi (La stanza dei Satiri)
furono acquistati tramite l'antiquario Antonio Carrer ed erano
destinati
a colmare una delle lacune più vistose
del Kaiser-Friedrick Museum, il Settecento veneziano. Una volta
a Berlino, gli affreschi, eseguiti su fondo oro, furono ricollocati
in un piccolo gabinetto
di cui coprivano il soffitto e parte delle pareti, a suscitare
l'effetto di un ambiente del Settecento. Alla vigilia della seconda
guerra mondiale la camera
fu smontata e ne sono sopravvissuti solo sei frammenti.
Questa “coincidenza” non è l'unica
che fa pensare ad un rapporto fra Bode e gli André. Il
conoscitore tedesco, il cui primo viaggio ufficiale in Italia
con l'incarico di acquisire capolavori per il museo di cui gli
era
stata affidata la direzione, risale al 1872, anno nel quale acquistò il
Ritratto di Botanico di Giovan Battista Moroni dalla
collezione Riblet a Firenze. Come gli André fu assiduo
cliente di Stefano Bardini, (14) che nel settimo quarto del XIX
secolo era
antiquario di fama
internazionale. Presso Bardini Bode
aveva acquistato mobilia, sculture in marmo, terrecotte, stucchi
e la celebre Dormitio Virginis che Arnolfo aveva scolpito
per la facciata di Santa Maria del
Fiore, distrutta durante la seconda guerra mondiale.
Analogamente,
Èdouard e Nélie acquistarono sia da Riblet -ricordo
la Madonna col Bambino e San Giovannino attribuita a
Filippo Lippi
- che da Bardini e dai
suoi fornitori, fra i quali si contano famosi antiquari : Salvadori
e Barozzi a Venezia, Borghesani, Angiolini, Rambaldi a Bologna,
i fratelli Jandolo a Roma.
I loro rapporti sono testimoniati, oltre che dalle numerosissime
fatture conservate presso l'archivio del Jacquemart-André,
che attestano come i coniugi attinsero largamente per i loro
acquisti di pregevoli sculture fiorentine, di oggetti di
arte minore e di quadri d'alta epoca alla galleria di piazza
de'Mozzi, dal fatto che l'arredo delle sale del “museo
italiano” ricostruito
in Boulevard Haussmann sembra modellarsi sugli allestimenti prediletti
dall'antiquario fiorentino.
Dalle foto d'epoca si intuisce che
palazzo Bardini era improntato ad un gusto abbastanza carico,
che privilegiava le soluzioni
di effetto, ove
mobili,
soffitti, vetrate, sculture e dipinti rinascimentali si alternavano
alla mobilia barocca
e tardo impero francese: un' affinità notata da Bernard
Berenson, che ne parla -non senza malizia- in una lettera ad
Isabella Stewart Gardner, al cui
servizio aveva posto la sua esperienza di storico dell'arte.
(15)
Anche i cataloghi delle raccolte private costituitesi a Firenze
fra Otto e Novecento e quelli delle vendite all'asta sono specchio
fedele
del
gusto degli
stranieri
che vissero o soggiornarono a lungo nella città toscana,
delle loro frequentazioni, dei loro scambi, delle esperienze
comuni. Per Wilhelm von Bode la collezione
ideale era quella che abbracciava le tipologie più svariate
di manufatti artistici ed è significativo che la raccolta
André rappresenti
per l'appunto, opere diverse per tecnica e materiale, ma anche
per formato e iconografia.
Credo che la predilezione di Nélie
Jacquemart per le collezioni di bronzetti, medaglie, placchette,
mortai, sculture in marmo e maioliche, non si spiegherebbe
senza la conoscenza di Bode, così come la decisione di
allestire le “sale
italiane” secondo tre percorsi (scultura, biblioteca e
pittura del Quattrocento) sia il frutto della sua consuetudine
con Louis Courajod, cui si deve la costituzione
di un dipartimento dedicato alla scultura italiana d'alta epoca
al Museo del Louvre.
Gli scritti dedicati da Bode all'arte toscana
del Rinascimento sono concepiti come rassegne sistematiche, sempre
organizzate
per tipologie
-sculture
in marmo, bronzetti, maioliche, mobili- e danno la percezione
di quella che “doveva” essere
una raccolta d'arte tardo ottocentesca. I saggi sulla scultura
in metallo, sulle Bronzenfigürchen e sui mobili,
sulle maioliche e sulle robbiane, i cataloghi della collezione
Hainauer, Simon
e Hollitscher di Berlino, Huldschinsky a Francoforte,
Pierpont Morgan e Beit, anticipano la metodologia di un'intera “scuola” che
si sarebbe formata intorno alla sua esperienza. (16) Ma sono
anche lo specchio delle raccolte dei suoi amici.
Il saggio su Bertoldo
di Giovanni, del 1895, un artista rappresentato nella collezione
André dalla Fiura maschile stante entro una corona
d'alloro e dalla medaglia con Lorenzo e Giuliano
de' Medici, (cat.
1.18),
si
apre con una intrigante descrizione
della lievitazione dei prezzi della scultura “in piccolo” sul
mercato antiquario, e con la constatazione del completo disinteresse
della ricerca per
quei piccoli, straordinari capolavori. Dalle pagine trapela la
sua ammirazione per le figure dell'allievo di Donatello, ma non
solo, per Bartolomeo Bellano,
Andrea Riccio, Cristoforo Caradosso, Andrea Pollaiolo, Jacopo
Sansovino, per Benvenuto Cellini e Giambologna, naturalmente,
ma anche per i loro allievi, a
cominciare da Antonio Susini, artisti tutti rappresentati nella
collezione.
E non poteva essere diversamente: il bronzetto nasce
per il collezionismo privato, per un gusto intimistico, spesso
la scelta del soggetto
deriva dallo stretto
rapporto fra artista e committente, è un oggetto pensato
per essere osservato da vicino, maneggiato. La qualità di
queste piccole sculture è notevolissima;
modellate com'erano per essere osservate da una molteplicità di
punti di vista, dovevano essere perfettamente rifinite e, anche
se ottenute da leghe
di consueta composizione, venivano patinate intenzionalmente
per ottenere particolari effetti coloristici. Si va dalle coloriture
nere, a quelle dorate, fino alla
caratteristica tonalità delle patine translucide tipiche
della produzione del Gianbologna e della sua scuola, alle patine
verdi, usate soprattutto sui
bronzetti all'antica. Sempre alla ricerca del massimo preziosismo,
e della perfezione nelle finiture, gli scultori si avvalevano
non di rado della collaborazione di
abili orefici. Così il bronzo, ricorda Vasari, « ...
alcuni con olio lo fanno venire nero, altri con l'aceto lo fanno
venire verde, et altri
con la vernice li danno il colore di nero... ».(17)
In fondo
anche la riscoperta di Donatello si deve, almeno in parte, al
collezionismo privato; nella sua monografia sull'artista
pubblicata
a
Parigi nel 1885,
Eugène Müntz riconosceva al gusto amatoriale il merito
della “réhabilitation” dell'artista: « ...
dans cette oeuvre de réhabilitation, les amateurs et le
public on marché plus
vie que les historiens d'art: ce sont des précurseurs
dans leur genre que le collectionneurs èmèrites
qui ont, les premiers, deviné le
génie du maître et à qui nous devons de posséder,
de ce côté-ci des Alpes, un si grand nombre de ses
chefs-d'oeuvre ... M.M. Piot, His de la Salle, Robinson, Timbal,
Èdouard André, Gustave
Dreyfus ... Alors que, grâce à leur généreuse
initiative, le nom de Donatello a recouvré toute sa popularité,
même
auprès des gens du monde, on chercherait en vain dans
nos bibliothèques
quelque travail d'ensemble sur ce génie si fécond
et si varié ... » (18)
I coniugi André possedevano
varie opere attribuite al maestro: fra le placchette di soggetto
religioso, due esemplari rappresentanti la Vergine col
Bambino, uno in bronzo e l'altro in rame, entrambi dorati,
oggi riconosciuti come repliche da originali donatelliani, (cat.
1.1, 1.2), potrebbero essere stati
ascritti al maestro negli anni ottanta del XIX secolo. Nel dicembre
1886 alla vendita Signol a Parigi comparvero due Angeli portacandelabro attribuiti
a Donatello, ma Madame André li acquistò solo nel
1893 alla vendita Piot, catalogati da Bonaffé e individuati
come gli angeli descritti nel XVII secolo facenti parte della
cantoria
di Luca della Robbia,
ancora nel Duomo di Firenze.
Una prudente attesa, che conferma
l'abilità di Nélie e i suoi rapporti
con i maggiori specialisti di scultura del tempo. La controversia
sull'attribuzione dei due piccoli bronzi è ancora aperta:
Pope-Hennessy li riferisce a Luca della Robbia, Giancarlo Gentilini
ritiene che debbano essere mantenuti in ambito
donatelliano ma che siano da riferire a Maso di Bartolomeo, collaboratore
di Luca nella cantoria; in ogni caso, a fronte del gran numero
di repliche di modesta
qualità e di falsi che circolavano sul mercato antiquario,
il gusto e l'occhio di madame André si rivelano decisamente
all'altezza della sua fama. (19)
Dopo l'esposizione donatelliana
organizzata da Marco Guastalla nella sua abitazione fiorentina
nel 1861, nella quale il maestro
fu presente
grazie
a molti prestatori
privati, si assiste a un crescente interesse del collezionismo
per la scultura e i suoi materiali, per le sue possibilità di
resa formale e volumetrica, legate all'abilità e al virtuosismo
dell'artista. Il nuovo gusto per tipologie di oggetti “minori” fu
la rivelazione della "Mostra del Medio Evo" organizzata al Bargello
nel 1865. Nelle sale del primo e del secondo piano dell'edificio
da poco restaurato “nello stile antico”, furono esposte
opere di Donatello o attribuite al maestro, e poi argenti, avori,
bronzi e oreficerie,
mobili e cornici, ferro battuto, mortai, pietre dure, tappeti
e tessuti, a confermare un'attenzione del tutto nuova, almeno
per Firenze, nei confronti di materiali
e tecniche diverse da quelle della pittura.
La città era ormai battuta da collezionisti di tutta Europa,
molti dei quali indirizzati verso la scultura del Quattrocento,
un fatto che giustifica
l'inflazione attributiva di opere di Donatello e il proliferare
di scultori specializzati in imitazioni, copie e falsificazioni
di lavori del XV secolo.
In questo gusto si muovono anche gli André, di cui sono
noti i lunghi soggiorni a Firenze, per quanto molte opere siano
entrate nella collezione attraverso
le vendite di Eugène Piot, che si riforniva nella città toscana
e rivendeva nella capitale francese, e di Bardini.
Fino dagli
anni settanta del Novecento, Bardini portava all'estero almeno
due volte l'anno una scelta selezionata delle sue opere,
per trattarne
la vendita
con i più accreditati antiquari: Trotti, Seligmann, Goldschmidt,
Duveen, per fare qualche nome. Non sappiamo ancora se questa
attività, per lo
meno a Parigi, si svolgesse in qualche palazzo di esposizione,
o all'Hôtel
Drouot, ma dal dal 1885 l'antiquario pubblicava i cataloghi delle
sue vendite a Parigi e, dopo l'asta, riuscitissima, dedicata
alle medaglie italiane del Rinascimento,
organizzava una grandiosa vendita di sculture, mobili, dipinti
e arti minori presso Christie a Londra. (20)
Il Martirio di San
Sebastiano di Donatello (cat. 4.1) comparve sul mercato
parigino in occasione della vendita Piot del 1864
e passò nelle mani di
Fournier ove rimase fino al 1872; la placchetta in bronzo dorato
fu riconosciuta a Donatello da Courajod nel 1884. Il funzionario
del Musée du Louvre amico
e consulente di Nélie André fu anche il primo studioso
a identificare i disegni da mettere in relazione con l'opera,
e a suggerire una committenza
della famiglia Gaddi di Firenze. Il rilievo, di fattura così squisita
da impegnare i maggiori studiosi di Donatello in un lungo dibattito
attributivo, (21) è concordemente
riferita al periodo padovano del maestro, e forse ispirato all'iconografia
di antichi sarcofagi romani. In particolare la scena raffigurante
Apollo e Marsia,
con il putto alato che pone sul capo di Apollo una ghirlanda
in segno di vittoria, potrebbe essere stata l'archetipo cui si è ispirato
il maestro per la piccola composizione. «In casa Medici,
nel primo cortile -così Vasari
nella Vita di Donato- sono otto tondi di marmo, dove
sono ritratti cammei antichi e rovesci di medaglie, ed alcune
storie fatte
da lui molto belle; i quali sono
murati nel fregio fra le finestre e l'architrave sopra gli archi
delle loggie: similmente la restaurazione d'un Marsia, in marmo
bianco antico, posto all'uscio
del giardino...» (22) e ancora Vasari ricorda che il maestro
aveva eseguito un San Sebastiano in legno per un monastero
femminile fiorentino.
La preziosa placchetta fu esposta a Parigi
all'Exposition Universelle
du Trocadéro
nel 1878 e, in seguito, solo a Wildenstein U.S.A, nel 1955; fino
ad oggi non era mai tornata a Firenze.
Analogamente i due pannelli
di cassoni raffiguranti la Battaglia di Pidna e un Trionfo
di Lucio Emilio Paolo (cat. 4.2, 4.3) eseguiti
a Firenze nella bottega
del Verrocchio
su committenza Mannelli, e riconosciuti di mano del maestro dopo
il restauro, non erano
più tornati
a casa: Vivono al Jacquemart-André uno splendido esilio,
un esilo dorato.
La collezione messa insieme da Edouard e Nélie è una
raccolta di capolavori, sottratti a Firenze per amore, ma è anche,
soprattutto l'immagine che di Firenze e dell'Italia ebbero i
più scelti conoscitori del tardo
Ottocento. Non si spiegherebbe altrimenti la collezione di bronzetti,
oggetti ben lontani dalle sculture monumentali, prodotto dell'arte
pubblica e destinate
a comunicare un messaggio politico. Oggetti a tutto tondo, ove
il rilievo varia di gradazione e consente il raggruppamento di
più statuette contro un
fondo neutro, “inventati” dall'arte toscana. Neppure
si spiegherebbe l'aver intuito la qualità delle raffinate
sculture di Bertoldo, allievo di Donatello e unico bronzista
che compare nell'inventario redatto in morte di
Lorenzo de' Medici, cui lo stesso Michelangelo fu debitore, segnale
di una sensibilità attenta
ed esercitata.
L'amore per le placchette, opere derivate da antichi
cammei e gemme incise e spesso ottenute da un calco diretto,
denotano
l'apprezzamento
-un nuovo
umanesimo- di tutto ciò che era “derivato d'antico”,
e quasi un desiderio di identificazione nel mecenatismo dei grandi
collezionisti del Rinascimento.
Sulle mura del palazzo mediceo di via Larga, che oggi ospita
la raccolta André,
nel 1452 Maso di Bartolomeo aveva eseguito otto medaglioni, sette
dei quali ispirati a gemme antiche.
Il gusto per le medaglie,
una forma d'arte abbastanza recente, la più vicina
per gusto e forma alla glittica e alla numismatica antica, aveva
nel Rinascimento una grande importanza per i suoi molteplici
significati: la medaglia era il modo
più semplice per i personaggi illustri di far conoscere
e diffondere la propria effigie e, di conseguenza, la propria
fama. Era arte e storia, vita e
cronaca; Lorenzo de' Medici, di cui la scultura fu forse l'arte
prediletta, ne aveva possedute quasi duemila. Nella collezione
André compaiono
le effigi di personaggi simbolo del Rinascimento, l'Aretino,
Leonello
d'Este, Lorenzo e Giuliano de'Medici, il papa
Medici Leone X, realizzate da artisti famosi: Benvenuto Cellini,
Pisanello,
Francesco
da Sangallo, Matteo de' Pasti.
Infine, nella “casa” del
Rinascimento italiano lasciata dagli André a
Parigi non poteva mancare un ritratto di Michelangelo, un bronzo
autografo eseguito da Daniele da Volterra, l'artista “amico
di Michelangelo”,
acquistato da Èdouard nel 1878, testimone del viaggio ideale
dei due amateurs nell'arte
e nella storia.
Il generoso prestito che l'Institut de France
e Nicolas Sainte Fare Garnot hanno voluto concedere a palazzo
Medici Riccardi,
residenza della prima
dinastia medicea,
un tempo arredata con le opere dei migliori artisti del Quattrocento, è dunque
breve, simbolico, atteso, ritorno a casa dei nostri capolavori.
Note
(1) Cfr. E. Bertaux, Le Musée Jacquemart-André. Guide illustré,
Paris 1913.
(2) Cfr. J. de Foville, L'Art chrétien au musée Jacquemart-André,
in «Revue de l'Art Chrétien», LXIV, 1914, pp. 1-16;
E. Hancke, Das Museum Jacquemart-André, in «Kunst und Kunstler»,
XII, 1914; G. Lafenestre, La Peinture au musée Jacquemart-André,
in «Gazette des Beaux-Arts», II, 1913, p. 437 e ivi, XI, 1914,
pp. 32-50; A. Michel, La Sculpture au Musée Jacquemart-André,
ivi, II, 1913, pp. 465 e XI, 1914, pp. 51-68.
(3) A. Venturi, Una risorta casa del Rinascimento italiano (Il museo André a
Parigi), in «L'Arte», XVII, 1, 1914, pp. 48-75.
(4) Per la personalità di Nélie Jacquemart si rimanda al
saggio di Nicolas Sainte Fare-Garnot del catalogo della Mostra ed. Mandragola
2007; si veda anche il numero
speciale della Gazette des Beaux-Arts, VI, CXXXV, 1995.
(5) Quando Cottier, a sua volta collezionista e pittore dilettante, decise
di vendere la sua quota della Gazette, Monsieur André ne divenne
il proprietario di maggioranza, e, con il matrimonio, Nélie entrò a
far parte della direzione. Cfr. F. Souchal, Monsieur et Madame André et
la Gazette, in «Gazette des Beaux-Arts», VI, CXXV, février
1995, pp. 59-64.
(6) Il rapporto degli André con l'antiquario Stefano Bardini è stato
ricordato da C. De Benedictis, in Il Museo Bardini a Firenze, I, Milano
1984, p. 111.
(7) Le figure di Egisto Paolo Fabbri e di Charles Alexander Loeser sono
oggi (maggio 2007) al centro dell'attenzione: alle loro raccolte è dedicata
la mostra Cèzanne a Firenze.
Due collezionisti e la mostra dell'impressionismo del 1910, aperta
a Palazzo Strozzi fino
al 29 luglio.
(8) Una lettura molto felice del fenomeno del collezionismo è stata
data da Francesca Molfino e Alessandra Mottola Molfino in Il possesso
della bellezza. Dialogo sui collezionisti d'arte, Torino 1997.
(9) Cfr. R. Calasso, Rosa Tiepolo, Milano 2006, pp. 17-18.
(10) Per Luigi Cavenaghi cfr. C. Giannini, in Dizionario degli artisti
di Caravaggio e Treviglio, Treviglio 1994, pp. 73-77; Luigi Cavenaghi e
i maestri dei tempi antichi. Pittura, restauro e conservazione dei dipinti
tra Ottocento e Nocevento, a cura di A. Civai e S. Muzzin, Bergamo 2006.
(11) Cfr. N. Sainte Fare Garnot, Les Tiepolo du Musée Jacquemart-André,
in Giambattista Tiepolo nel terzo centenario della nascita. Atti del Convegno
Internazionale di Studi (1996), Venezia 1998, pp. 51-62; C. Giannini, Affreschi
di Giovan Battista Tiepolo: dalle ville venete alle residenze europee.
Proprietari, restauratori, clienti, ivi, pp. 313-319
(12) Per Giuseppe Steffanoni cfr. C. Giannini, L'attimo fuggente. Storie
di collezionisti e mercanti, Bergamo 2002.
(13) Per maggiori dettagli sulle acquisizioni veneziane cfr. C.Giannini,
2002, pp.103-136.
(!4) Per Stefano Bardini si veda C.De Benedictis, F. Scalia, Il Museo Bardini,
1984.
(15) Cfr. M. Secrest, Being Bernard Berenson. A Biography, London 1980,
p.212.
(16) W. Bode, Bertoldo di Giovanni und seine Bronzebildwerke, in «Jahrbuch
der Königlich Preussischen Kunstsammlungen», 1895, III. IV,
pp.1-17; Florentiner Bronzestatuetten in der Berliner Museen, in «Jahrbuch
der Königlich Preussischen Kunstsammlungen», 1, 1902, pp.1-12;
Die Italienische Hausmöbel der Renaissance, Leipzig, s.d.; Die Italienische
Bronzestatuetten der Renaissance, Berlin 1907; Die Anfänge der Majolikakunst
in Toskana, Berlin 1911; Denkmäler der Renaissance-Skulptur Toskanas,
München 1892-190; un'ampia sezione della biblioteca di Bode era formata
da cataloghi di collezioni e di aste. L'ambiente berlinese dei primi decenni
del Novecento, che ruotò intorno alla figura del grande studioso, è rappresentato
da Max J. Friedländer e dall'interessante personalità di un
mercante d'arte, Paul Cassirer. Le premesse metodologiche della sua scuola
furono sviluppate dalle riviste Jahbuch e Kunst und Kunstler.
(17)G. Vasari, Le Vite de' più eccellenti Pittori, Scultori ed Architettori,
riviste et ampliate,3 voll., in Fiorenza, appresso i Giunti, ed. in Id.,
Le Vite... nelle redazioni del 1551 e 1568, a cura di R. Bettarini, commento
secolare di P. Barocchi, 6 voll., Firenze 1966-1987, I, p. 103
(18)
Cfr. E. Müntz, Donatello, Paris
1885, p. 4.
(19) Cfr. Donatello
e i suoi. Scultura fiorentina del primo Rinascimento, catalogo della
mostra a cura di A.P. Darr e G. Bonsanti, Milano 1986,
pp. 202-203; Omaggio a Donatello, a cura di P. Barocchi, G. Gaeta
Bertelà, G. Gentilini, B. Paolozzi Strozzi, Firenze, 1986,
pp. 381-383.
(20) Cfr. Medailles de la Renaissance. Collection de M.
Stefano Bardini de Florence, Hotel des Commisseurs-Priseurs,
Rue Druot 9, Paris 1885;
Catalogue des Objects d'Art Antiques du Moyen Age et de la Renaissance
provenant
de la Collection Bardini de Florence, Christie, London 1889.
(21) Si veda
F. de La Moureyre-Gavoty, Inventaire des collections publiques françaises
19. Institut de France. Sculpture italienne, Paris 1975; A.P. Darr,
in Donatello..., 1986, pp. 163-164
(22)
G. Vasari 1568, ed.
Bettarini-Barocchi, 1966-1987, III, p. 211.
Il Marsia di marmo bianco proveniente dall'ala di ponente della Galleria
degli Uffizi, ora al Bargello, di debole fattura, non può essere
identificato con l'esemplare restaurato da Donatello.
Eventi in Palazzo Medici Riccardi
- Donatello
e una casa del Rinascimento
-Il suo contributo di Cristina
Giannini