
Nell'immagine, l'armatura haramaki, firmata: Shigenaga
saku, in acciaio, rame dorato, ottone, legno, lacca, cuoio, pelle,
seta e cotone del
periodo
Muromachi/periodo
Edo della prima metà del XVI e fine del
XVIII secolo. Proviene alla mostra dal Museo Stibbert.
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In Di
linea e di colore,
sono stati riuniti un
gran numero di capolavori appartenenti all'arte giapponese
dei secoli dal XIV al XIX e provenienti dalle istituzioni museali di
tutto il
mondo. Sono testimonianze uniche che raccontano il Giappone degli shogun
e dei samurai. Uomini di grande sensibilità artistica ed eleganti
maestri nell'uso di armi. La mostra è stata curata da Francesco Morena.
Il catalogo è pubblicato nelle edizioni Sillabe.
La presentazione della
sezione a cura di Maria Sframeli,
Direttrice del Museo degli Argenti.
"Il 1° marzo 1585 approdarono
al porto di Livorno i primi quattro ambasciatori venuti dal lontano
Giappone, dopo un viaggio che era iniziato dal porto di Nagasaki
il 20 febbraio 1582: era in assoluto la prima presenza ufficiale ad
affacciarsi
in Europa.
La conoscenza del Giappone in Toscana, così come
negli altri paesi occidentali, era mediata dalla diffusione del Milione di
Marco Polo, peraltro mai arrivato fino al Giappone, in cui si favoleggia
di un Paese ricchissimo e raffinatissimo
dove tutto – perfino i pavimenti delle case – era rivestito d’oro.
L’arrivo dei quattro giovanissimi ambasciatori dai curiosi nomi per
metà giapponesi
e per metà latini – Ito¯ Mancio, Chijiwa Michele, Nakaura
Giuliano e Hara Martino – guidati dal gesuita Alessandro Valignano
e diretti a Roma dal pontefice Gregorio XIII, dovette generare sulla corte
fiorentina, al tempo
sotto il governo di Francesco I, sentimenti di grande fascino e curiosità.
Gli
ambasciatori furono ricevuti a Pisa dallo stesso granduca, che li affidò alle
cure del fratello don Pietro e del nipote Virginio Orsini, mentre la granduchessa
Bianca Cappello, rimasta incantata dalle strane fogge degli abiti e dalla
preziosità delle
stoffe, si occupò dei festeggiamenti in loro onore. Ebbe luogo anche
il consueto scambio di doni, di predominante carattere religioso in linea
con il
carattere dell’impresa, volta all’evangelizzazione di quelle
lontane terre, che ebbero quindi l’onore di comparire ultima fra le
celebri carte geografiche che Egnazio Danti realizzò per gli armadi
della Guardaroba di Palazzo Vecchio (oggi sala delle Carte Geografiche).
Subito dopo la delegazione
raggiunse Firenze dove sarebbe stata ospitata in alcune stanze della
Reggia di Palazzo Pitti. A Firenze gli ambasciatori
soggiornarono dall’8 al 13 marzo ed ebbero occasione
di visitare i luoghi che ancora oggi sono la mèta
degli itinerari turistici più ambiti: le chiese di San
Lorenzo e della SS.
Annunziata,
il Corridoio vasariano, il Giardino
di Boboli, il Casino di San Marco,
la
Fortezza da Basso e il Forte
di Belvedere, le ville di Castello,
Petraia e Pratolino e
infine la Stanza del Tesoro, e cioè la
Tribuna degli Uffizi, che al tempo accoglieva gli oggetti
più preziosi
delle raccolte medicee, oggi riuniti nelle stanze del Museo
degli Argenti che
ospita la mostra di Linea e di Colore.
Ai capolavori giapponesi,
quasi ospiti d’onore come un tempo lo furono
gli ambasciatori, sono state destinate le antiche sale di rappresentanza
del quartiere estivo dei Medici di Palazzo Pitti, oggi
parte del Museo degli Argenti,
affrescate con la celebrazione delle glorie medicee. Quello che
di più prezioso
il Giappone ha prodotto nel corso di tre secoli di storia – i
paraventi dipinti con storie che raccontano l’antica società giapponese,
le lacche, le ceramiche, le armi, i kimono, i complementi raffinati
del vestire – vivrà una
stagione di confronto con la migliore produzione artistica fiorentina
ed europea degli stessi secoli – i preziosi vasi in pietre
dure e lapislazzuli, i cristalli intagliati, gli oggetti in ambra,
i virtuosistici avori –, che
oggi si ammira nelle stanze a fianco."
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"Fu, in quel lontano 1585, l’incontro di due
civiltà che
sarebbero rimaste ancora distanti per molto tempo (almeno fino al 1868,
anno dell’apertura del Giappone al mondo occidentale).
Oggi, che
le relazioni fra Italia e Giappone godono di un clima di privilegiata
amicizia, l’occasione della mostra offre la possibilità di
un nuovo confronto tra due civiltà lontane, che hanno percorso
cammini distinti nell’arco di tre secoli di storia, ma sono
assimilabili per scelte dettate da comuni inclinazioni verso la ricercatezza
e l’eccentrica
raffinatezza. Caratteri distinguibili sia nell’ansa sinuosa
a sfinge alata di un vaso disegnato da Buontalenti, impreziosito
da un’elaborata
montatura in oro, come nella sagoma estremamente semplificata e rigorosa
di scatole di lacca e ciotole di terracotta giapponesi e perfino
negli eleganti ideogrammi calligrafici che sui campi di carta sottile
dei
paraventi si integrano e diventano essi stessi pittura.
Gli oggetti
giapponesi di provenienza medicea ancora oggi presenti nelle collezioni
di Palazzo Pitti non sono che un piccolo segno del
grande
interesse coltivato dai Medici per l’orientalia, testimoniato
dalle frequenti citazioni negli inventari di oggetti dei quali
non si possono
riconoscere le precise origini, ma intuirne la provenienza dall’Estremo
Oriente; il più di questi oggetti andò disperso nelle
grandi aste promosse dai Lorena per rimpinguare le casse dello
Stato di Toscana.
Oggi a Firenze il collezionismo ‘giapponese’ di
grande prestigio per qualità e quantità di opere è rappresentato
dal Museo Stibbert,
l’abitazione sul colle di Montughi dove
il gentiluomo anglo-italiano Frederick Stibbert aveva riunito
quanto raccolto
con amore e competenza durante una vita di studi e viaggi, patrimonio
che alla sua morte (1906) volle legare alla nostra città.
Era
quindi imprescindibile per questo omaggio al Giappone la presenza
del
museo fiorentino che ha così aggiunto opere straordinarie
ai capolavori provenienti dal ‘Tesoro nazionale’ giapponese
e dai principali musei nipponici ed europei." |